Home Proposte di viaggio Schede - GPX/KML Allenamenti Foto e video Contatti

TOUR DELLE DOLOMITI in autunno

11 - 17 ottobre 2017

Al rientro dall’entusiasmante mia prima vera esperienza cicloturistica, svolta in questa calda estate 2017 a zonzo da Terni a Termoli, attraverso i principali gruppi montuosi dell’Appennino centrale, mi ero subito proposto di organizzare il prima possibile un altro viaggio di una settimana, stavolta però puntando a Nord, e più precisamente sulle Alpi. Da tempo infatti avevo nel cuore il desiderio di far ritorno sulle Dolomiti visto che, escursionisticamente parlando, le ho snobbate per molti anni preferendo luoghi meno affollati. E allora quale miglior modo per ritornarci se non in sella ad una bici? Detto fatto! Mi sono messo  

Share on Facebook
Share on Twitter
Share on Google Bookmarks
Share via e-mail

all’opera e nel giro di pochi giorni l’idea si è concretizzata, ha preso forma: sette giorni, compresi gli spostamenti in treno necessari per raggiungere il luogo di partenza e il rientro a casa, da svolgere in autonomia, ovvero con tenda e sacco al seguito. E il periodo di svolgimento non poteva che essere l’autunno, stagione magica per antonomasia e che amo particolarmente. L’idea di muovermi in un contesto climatico che potenzialmente poteva risultare problematico e disagevole (freddo e perturbato) mi metteva addosso qualche ansia e preoccupazione di troppo, però alla fine la fiducia e l’ottimismo hanno prevalso, sperando sarei riuscito a partire con la prima finestra di bel tempo di almeno 3 giorni. E direi che sono stato molto fortunato vista la splendida autunnata di quest’anno, dove la mitezza e le belle giornate l’hanno fatta da padrona un po’ su tutto lo Stivale, Alpi comprese. Ovviamente però, non potendo prevedere già alla partenza il perdurare del bel tempo per tutti e sette i giorni, ho dovuto necessariamente provvedere ad un equipaggiamento adeguato alla stagione nonchè alle quote a cui avrei bivaccato. E questo ovviamente avrebbe comportato avere una zavorra non proprio indifferente (stimata in circa 25 chili, bici compresa) che avrebbe fatto la differenza soprattutto lungo i tratti più impegnativi del tour, ovvero le salite verso i passi dolomitici. Ma il sacrificio del pedalare col maggior peso si rendeva necessario; non si può infatti essere troppo minimalisti quando ci si muove in stagioni fredde e in luoghi dove i cambi repentini del meteo possono far la differenza tra il vivere una piacevole esperienza ed il patire senza ragione, sempre poi che la situazione non diventi anche potenzialmente pericolosa. Alla fine questo tour è stato progettato bilanciando due aspetti: la volontà di visitare e attraversare alcuni luoghi prefissati e la necessità di regolarsi con i chilometri da percorrere e soprattutto con i dislivelli positivi giornalieri da affrontare. Credo di esser riuscito in questo intento, seppur con qualche sconfinamento negativo verso le difficoltà riscontrate sul terreno rispetto a quelle preventivate su carta (il riferimento è soprattutto all’ultima tappa dove le pendenze sono state ampiamente sottovalutate!). Nella messa a punto del progetto ci sono state fondamentalmente due tipi di difficoltà: la scelta della tipologia del posto tappa (decidere se dormire o meno in zone attrezzate e gestite, come i camping, e di conseguenza adeguare le tappe in funzione di esse e della loro apertura fuori stagione) e la logistica. Quest’ultima in particolar modo è stata oggetto di continue revisioni e modifiche perchè, dovendo viaggiare esclusivamente con i treni regionali (sui treni Intercity e Freccia le bici si possono trasportare solo “impacchettate”), per le lunghe percorrenze si deve far spesso ricorso ai cambi treno per riuscire a raggiungere la stazione prestabilita. E il riuscire a trovare le coincidenze giuste ad ogni stazione dove si effettua il cambio non è cosa affatto scontata, specie in un Paese come il nostro dove il principale gestore del traffico ferroviario ha costruito un sistema ad hoc che praticamente induce il passeggero a privilegiare la scelta di viaggiare con treni veloci (ma più costosi) piuttosto che i regionali, pena il ritrovarsi a “dimorare” nelle stazioni per via dei lunghi tempi di attesa della coincidenza. Comunque alla fine sono riuscito a trovare una soluzione accettabile, mettendo in conto che avrei viaggiato per oltre 7 ore per fare “solo” 450 chilometri, con 5 cambi treno (e tutto quello che ciò può significare in termini di disagio e sforzo, specie in stazioni non dotate di ascensori tra i binari), due dei quali sono stati davvero rocamboleschi e frenetici per via dei pochissimi minuti a disposizione. Alla fine - come si dice - l’importante è partire perchè poi, strada facendo, si cercherà di risolvere gli imprevisti e i problemi uno alla volta. E io sono partito :-)


Mercoledì 11 ottobre 2017                               Consulta la mappa e scarica la traccia (previa donazione)

BELLUNO (Veneto) - COL DI PRA (Valle di San Lucano - Dolomiti bellunesi)

39 km  660D+  433D- (dati da altimetro barometrico)

Il lungo viaggio in treno che mi accingo a compiere inizia prima dell’alba, lungo strade deserte e illuminate artificialmente. Mi muovo velocemente per raggiungere la stazione, saggiando le prime impressioni legate al peso del mio mezzo, mentre dentro me vivo un misto di ansia e di eccitazione: penso infatti alle insidie delle tante coincidenze ma soprattutto ai due cambi rapidissimi con cui avrò a che fare (il peso della bici è notevole e superare le scale dei sottopassaggi non è cosa semplice se si deve anche essere veloci), però mi lascio anche piacevolmente andare a quell’ottimismo indotto dalle previsioni meteo che sembrano promettere bel tempo ad oltranza. Sarebbe un gran bel regalo! Si parte, ha inizio il lungo viaggio alla volta di Belluno. Primo cambio tranquillo: ho qualche minuto di attesa ma sono sceso sulla stessa banchina da cui partirà il treno. Secondo cambio: treno quasi in orario ma ho 11 minuti per scendere e far le scale del sottopasso per cambiare binario. “Sono molti”, direte voi; ma credetemi, quando ti muovi con una bici pesante temi che i minuti siano sempre scarsi per riuscire a fare quello che normalmente richiederebbe la metà del tempo. E poi stavolta c’era l’incognita del treno sprovvisto del trasporto biciclette. E quando me l’o trovato davanti ho capito perchè questo servizio non era previsto. Avete presente quei vecchi e piccoli treni a diesel, dove gli spazi sono così angusti che con una bici (per di più carica) rischi di rimanere incastrato? Beh…il treno in cui dovevo salire era proprio di questa specie. E mi è andata veramente bene perchè il capotreno mi ha concesso di salire, forse impietosito nel vedermi affannato e con una simil zavorra. Ovviamente sono rimasto nell’area adibita alla salita/discesa passeggeri, cercando di creare il minor intralcio possibile visto che, oltretutto, questo treno era anche piuttosto affollato essendo per pendolari. Il viaggio è durato poco (per fortuna) e alla successiva stazione (Rimini) mi sono imbattuto nell’ultimo cambio “a rischio”: soli 5 minuti per passare da un binario all’altro! Ma, almeno stavolta, ho potuto sfruttare gli ascensori. Tutto è filato liscio, anche se vissuto con una certa ansia. Infatti perdere una coincidenza avrebbe voluto dire arrivare a Belluno in pieno pomeriggio. E considerando le poche ore di luce disponibili in questo periodo dell’anno, ciò avrebbe comportato uno stravolgimento della prima breve tappa, costringendomi a cercare sul posto un luogo idoneo dove dormire. Nella quarta tratta del viaggio ferrato c’è stato il tempo per rilassarsi stando seduti. Arrivo a Bologna centrale poco dopo le ore 9 e finalmente da qui in avanti i cambi risulteranno più dilatati, concedendomi respiro…sempre che i treni non accusino ritardo! Alla fine, dopo un ultimo cambio a Padova, arrivo a Belluno all’ora di pranzo. Il cielo è grigio ma non fa freddo: le nubi son basse e da la sensazione che sia nebbia in sospensione. Approfitto per fare un rapido giro turistico recandomi al centro e prendere confidenza col mezzo ma non mi rimane una grande impressione di questa città, forse anche a causa di questo grigiume in cui mi ritrovo. Sono le 14, decido di iniziare il viaggio alla volta della prima tappa: Agordo. Purtroppo per essere più veloce sono costretto a percorrere alcuni tratti di strada statale ad alto scorrimento, condividendo gli spazi con il traffico locale, ma per fortuna l’orario è tra quelli meno caotici della giornata e quindi quel senso di oppressione e di pericolo indotti dalle auto e dai camion che ti sfrecciano accanto risulta sufficientemente contenuto. Su carta la tappa è breve e non prevede grandi salite visto che l’altitudine da raggiungere è modesta; ma alla fine mi sono ritrovato con piacere a fare qualche centinaio di metri di dislivello in più grazie al fortunato consiglio di una gentile signora del posto che mi ha indicato una location veramente bella e ottima dove trascorrere la mia prima notte in tenda, in autonomia. Ma facciamo un passo indietro. Dopo circa un’ora e mezza di agile pedalata raggiungo l’ampia e bella conca dov’è ubicata Agordo, finalmente baciato dal sole e dal suo tepore pomeridiano. Non me l’aspettavo così cittadina, pensavo fosse più raccolta, stile paesotto di montagna. Mi faccio un giro, anche alla ricerca di una gelateria. Sì lo so, il periodo e il luogo non richiamano il consumo di questo alimento ma è da Belluno che mi frullava in testa il desiderio di mangiarne uno, e siccome so che queste vallate vantano generazioni di gelatieri, non potevo certo trattenermi dal gustare il vero gelato artigianale anche con l’aria fresca! La ricerca è durata poco: mi si è subito parata davanti un’invitante gelateria, proprio di fronte alla chiesa parrocchiale. Il gusto non velo racconto ma potete facilmente immaginarlo, specie dopo una pedalata. :-)  Gironzolo ancora un po’ però l’aria comincia ad essere più frizzantina e c’è un leggero vento che ne accentua il sapore, quindi mi muovo più spedito alla ricerca di uno spazio in periferia dove potermi accampare senza dare nell’occhio, pur rimanendo prossimo a qualche fontana. La ricerca non è stata del tutto infruttuosa però è risultata poco convincente: c’era comunque un qualche motivo per cui quel posto non risultava graditissimo. Cambio area, spostandomi alla periferia nord ed è quì che, nel momento in cui mi sono fermato per scattare una foto, una signora sulla cinquantina mi si avvicina incuriosita e attacca bottone. Dopo aver rivelato la mia provenienza s’instaura un maggior feeling visto che la tipa aveva in più occasioni frequentato le spiagge marchigiane non distanti da Ancona, durante i suoi soggiorni estivi, rimanendone piacevolmente attratta. Vista l’ora che si era fatta la signora mi chiede dove avrei alloggiato e, spiegandole che stavo cercando un luogo tranquillo e adatto al campeggio spartano, fu allora che mi propone un luogo a detta sua adatto e molto bello, distante meno di 10 km da Agordo e con poca salita da fare: la valle di San Lucano e più precisamente la sua testata, a Col di Pra’. Il suggerimento spassionato della signora è stato da me accolto a pieni voti perchè dal suo racconto ho capito potesse trattarsi di un luogo davvero suggestivo e adatto, nonostante avessi qualche titubanza più che altro dettata dal tempo di percorrenza per raggiungere il luogo, visto che stava facendo buio e non conoscevo i luoghi. Ma alla fine mi armo di spirito d’avventura e, dopo un grato e sincero saluto alla simpatica agordina, parto spedito, non prima di aver fatto un rifornimento di acqua. Appena un paio di chilometri su strada a scorrimento veloce per raggiungere il bel paese agordino di Taibòn e si svolta a sinistra per iniziare l’accessibile salita di circa 7 chilometri che s’inoltra in questa vallata delle Dolomiti Bellunesi a me sconosciuta ma che, nonostante il ritorno di nubi basse che limitano la visuale sulle montagne attorno, da l’impressione di essere davvero notevole. L’aria si fa rigida e umida ma la percepisco appena perchè mi mantengo caldo per via del ritmo in salita. M’inoltro in questa valle che è ormai il crepuscolo, avvolto da un silenzio e da una quiete quasi spettrale, interrotti brevemente dal rombo di un paio di auto che ho incrociato. Le linee delle montagne da ambo i lati si mescolano con la nebbia ma fanno intuire forme slanciate e verticali, da vertigine. Mi sento piccolo, piacevolmente piccolo, e accolto. Penso a come saranno i prati che la signora m’ha raccontato avrei trovato al termine della valle. Non vedo l’ora di arrivare, anche per fermarmi definitivamente e riposarmi; la giornata è stata lunga e, nonostante la poca strada pedalata, sento la stanchezza del poco sonno della notte precedente e del lungo viaggio in treno. Dopo un tratto centrale con salita appena più ripida, la stradina, sempre asfaltata, si fa più morbida, quasi a preannunciare l’imminente arrivo alla località di Col di Pra’ che infatti di lì a breve diviene realtà. Qualche baita adagiata sui prati verdeggianti al margine del bosco e, più avanti, un piccolo agglomerato di case, il tutto circondato da montagne imponenti e straordinariamente ripide: sono le Pale di San Lucano, da un lato, e dall’altro i contrafforti del monte Agner, montagne rese più affascinanti dall’aleggiar della nebbia che le avvolge. Una bella baita in legno non abitata, probabilmente adibita ad utilizzo nella bella stagione, cattura subito la mia attenzione e la scelgo per accamparmi nelle sue vicinanze e, vista la stanchezza e avendo la quasi sicurezza di una nottata senza piogge, scelgo per il bivacco brado (solo sacco a pelo e stuoino). Sarà una notte sospesa tra il silenzio e le stelle che faranno capolino tra le nubi in dissolvenza.


Giovedì 12 ottobre 2017                                    Consulta la mappa e scarica la traccia (previa donazione)

COL DI PRA (Valle S. Lucano - Dolomiti Bellunesi) - PASSO PORDOI (Dolomiti - Bl/Tn)

60 km  1730D+  748D- (dati da altimetro barometrico)

Nonostante la stanchezza e il silenzio pressoché totale, la notte è trascorsa un po’ in dormiveglia ma non ho assolutamente sentito freddo anche se c’era umidità. Comunque a svegliarmi bene bene c’è stata un’alba davvero stupenda, con la luce calda a dipingere le nubi accollate ai versanti precipiti della Pale e i boschi autunnali arroccati su terrazzini impossibili…davvero onirico! Me la son goduta in ogni istante, mentre pian piano le nuvole andavano aprendo visuali sempre più ampie e mastodontiche di queste montagne che avevo praticamente sopra la mia testa. E’ una scena indelebile che credo rimarrà tale per sempre e sono davvero grato alla simpatica signora di Agordo per avermi suggerito questo posto splendido e imperdibile. Con una certa calma mi accingo a ricomporre il bagaglio  sulla bici, non prima di essermi goduto una bella a abbondante calda colazione. E già…perchè certe cose non possono proprio mancare: nelle borse ho caricato il cibo per le colazioni ma anche un po’ di snack da consumare più o meno al volo durante la giornata. La partenza in discesa mi obbliga a vestirmi adeguatamente, anche perchè la temperatura si attesta comunque sui 6 °C e il sole riuscirà ad invadere il fondovalle solo quasi nei pressi del paese di Taibòn. Lungo la discesa ho approfittato per fare un paio di soste fotografiche perchè gli scenari che mi si paravano ai lati erano davvero spettacolari! Queste montagne hanno il potere di farti comprendere ancor di più (sempre che ce ne fosse bisogno) quanto l’uomo sia un’inezia di fronte alla grandezza della natura e delle sue forze. Raggiunto il paese e di seguito la statale agordina approfitto per tolgliermi guscio e strato intermedio visto che da quì s’inizia a pedalare nel fondovalle in direzione della nota località turistica di Alleghe, ai piedi di uno dei colossi dolomitici più impressionanti: il Civetta. La giornata è splendida, come da previsione, anche se nel fondovalle, specie in ombra, l’aria fredda stagnante pizzica in faccia (il termometro segna spesso 5 °C). Pedalo comunque con una certa agilità, la strada sale lentamente; s’impenna un po’ solo nel breve tratto che anticipa la conca del bacino artificiale di Alleghe. Quì una sosta è d’obbligo: il posto è incantevole e le tenui tinte autunnali del paesaggio attorno aiutano a respiare un’atmosfera rilassata e placida, come è il lento muovere delle papere che nuotano nel lago a pochi passi da me. Approfitto per mangiare un frutto per poi ripartire e raggiungere sull’opposta sponda il bel paese di Alleghe, ben apprezzabile da una balconata panoramica posta sopra il lago, a bordo strada. Mi vien pensato a quanta più frenesia possa esserci quì in piena stagione estiva, mentre ora tutto è a misura d’uomo, senza eccessi nè fastidi. Mi godo questi momenti e dopo qualche scatto riparto perchè so che ora mi attenderà la parte più faticosa della tappa odierna. Pochi chilometri di pedalata rilassata infatti mi separano dalla località di Caprile, punto in cui inizierà la salita verso la nota località turistica di Arabba. Seguo le indicazioni per il passo Pordoi, condividendo inizialmente lo stess o tratto di strada che conduce a un’altro famoso passo dolomitico: il Falzarego. Purtroppo, per una disattenzione, ho commesso l’errore di dar fiducia solo alla segnaletica verticale, senza consultare la mappa, e solo dopo aver fatto un lungo tratto anche piuttosto duro di salita mi accorgerò di aver sbagliato strada, avendo seguito le indicazioni di deviazione per i mezzi pesanti che allunga il tracciato di ben 5 chilometri! Preso un po’ dalla rabbia, ho perso una manciata di minuti per pensare al da farsi: non sapevo se valeva la pena scendere per riprendere la strada corretta, oppure continuare questa salita, affrontare una breve discesa e riprendere più avanti la giusta strada. Onestamente scendere su quel tratto ripido mi urtava, dopo tutto lo sforzo fatto; e allora decido di proseguire, nonostante sulla mappa mi ero reso conto di dover fare diversi chilometri in più. Tra l’altro non era neanche prestissimo e cominciavo a preoccuparmi di quello che ancora mi attendeva e della poca luce rimasta: salire la mitica Cima Coppi, il passo Pordoi, e poi trovare un luogo idoneo per bivaccare. Ormai ero in ballo, dovevo farmene una ragione, e per tranquillizzarmi cercavo di far leva sul fatto che avevo con me tutto il necessario per potermi fermare in ogni dove per la notte…o quasi :-)  Il tratto successivo di salita, seppur più agevole, m’è sembrato interminabile. Finalmente raggiungo il suo culmine, coincidente con il bivio per il passo Falzarego, all’altezza del paese di Cernadoi. Decido per una breve sosta culinaria, visto che poi mi avrebbe atteso un tratto di discesa ed un successivo falsopiano. Oltretutto quì c’era una bella veduta sulla non lontana Marmolada. Si riparte, giù veloci verso Pieve di Livinallongo. La strada corre a mezza costa, sul versante orografico sinistro, dando la possibilità di avere belle vedute attorno e verso la testata della valle, dove possente domina la scena il gruppo del Sella. Questo tratto è risultato abbastanza veloce, rientrando ora sulla strada giusta che - aimè - termina alla frazione di Pezzei, dove si torna inesorabilmente a salire. Quattro chilometri mi separano da Arabba e le pendenze si attestano tra il 6 e l’8%, credo. Con una bici scarica non sarebbe un problema ma con la zavorra lo sforzo è decisamente amplificato anche su pendenze di questo genere. Comunque con la dovuta calma raggiungo anche Arabba, graziosa a prima vista ma semideserta stando al periodo fuori stagione. Non mi fermo, non voglio perdere il ritmo, anche se sono consapevole che il più è tutto da fare, inizia proprio da quì: davanti a me 8 chilometri di ascesa con una pendenza media dell’8% e un tratto al 12. Non male per uno che non sta gareggiando al Giro d’Italia con una bici super leggera e performante! Ma questa è la sfida che mi sono costruito e convinto di poter realizzare e quindi, nonostante la stanchezza fisica e una certa pressione psicologica (compresa quella indotta dalla poca luce solare rimasta), si va avanti, dritti verso la somma meta. Cerco di mantenere una cadenza di pedalata reattiva e agile a sufficienza, lasciando il rapporto più agile come estremo rimedio per i futuri tratti più ripidi. Qualche automobilista accenna ad un gesto d’incoraggiamento e di plauso per quel che sto facendo e la cosa m’infonde quel po’ di vigore che non guasta, specie quando davanti a te vedi solo tornanti e salita, con il passo ancora molto distante. Però, mentre pedalo, penso alla figata di strada che sto percorrendo col mio stile da ciclista zavorrato: strada che è stata teatro di grandi sfide ciclistiche che hanno generato gloriose vittorie di ciclisti ormai famosi nell’immaginario collettivo. E questo mi fa onore perchè anch’io, nel mio piccolo, sto compiendo una sfida: quella con me stesso e non contro terzi. E’ un pensiero che tento di tenere inchiodato alla mente, ben saldo, specie nei tratti più duri dell’ascesa, o quando sento venir meno quella forza interiore che da motore alle mie gambe. Sono convinto di poter portare a compimento l’impresa, è solo questione di tenacia psicologica e di abnegazione, però la stanchezza fisica si fa sentire e non è facile combattere contro la voce che dice di fermarti. Per un attimo decido di cedere a questa voce; alcuni minuti con i piedi a terra e un morso dato a una barretta non saranno la fine del Mondo. Per fortuna la scena meteorologica è immutata dalla mattina: sole e cielo terso. E questo mi garantisce la dovuta calma interiore necessaria per procedere senza paure nè tensioni. Riparto, non posso freddare troppo la muscolatura; sono a circa metà salita. Il paesaggio è dominato dalla mole del gruppo del Sella, alla mia destra, che la luce incline sta riscaldando e colorando di un giallo ocra intenso. La pedalata si fa più pesante, forse mi trovo nel tratto più ripido; cerco di non cedere. Lo supero e torno ad essere un po’ più reattivo mentre mi accorgo di rimanere in ombra perchè il sole è già volato più in alto. Sono con una sottile maglia intima a maniche lunghe e quel poco di sudore addosso comincio a sentirlo più fresco; m’infastidisce un po’ ma non voglio fermarmi, oltre a preferire di viaggiare leggero per non ritrovarmi in cima troppo sudato. Si riaffaccia una certa crisi psico-fisica, il corpo comincia a fare opposizione a questo sforzo importante e prolungato e la mente sembra volerlo assencondare; ma finalmente mi ritrovo all’ultimo tornante e davanti a me resta solo un tratto di circa un chilometro e mezzo con in fondo l’agognata meta. Fatico, tanto!…ma dentro di me c’è l’incitamento di chi mi dice che sto portando a termine un’impresa, supportata da spalti di montagne solenni scolpite dalla luce della sera e dal tempo. Ancora pochi giri di pedale e, superati i primi alberghi, mi ritrovo alle ore 17 sull’Olimpo ciclistico che ha fatto la storia: i 2239 metri di altitudine del passo Pordoi è sotto di me!! La stanchezza lascia spazio alla commozione e quei pochi rimasti ancor lassù mi guardano attoniti, quasi increduli, lasciandomi intuire i loro commenti stupefatti. Mi siedo accanto al monumento eretto in nome del mitico Fausto Coppi e mi godo questi ultimi memorabili istanti del giorno che sta colorando le pareti dolomitiche di quel tipico color rossastro che prende il nome di Enrosadira. Qualche immancabile scatto per immortalare questo momento unico e il sole se n’è già andato, facendomi capire che è ora di ripartire per cercare un luogo adatto al bivacco. M’imbacucco per bene, la temperatura sta scendendo rapidamente, e inizio la discesa lungo il versante opposto alla salita, in direzione di Canazei. Il progetto iniziale prevedeva di raggiungere questa località turistica ma, vista l’ora, e considerando la salita della tappa di domani, ho scelto di rimanere in quota. Il posto ideale per il pernotto non tarda ad arrivare: lo rinvengo dopo soli 2 km di discesa nei pressi dell’hotel Pordoi, in un prato situato su un poggio nei pressi del piccolo bacino idrico per l’innevamento artificiale. Nonostante l’altitudine (sono a circa 2000 metri di quota), anche per stanotte mi decido a bivaccare senza tenda, provando l’ebrezza della fredda notte autunnale sulle Dolomiti :-) Mi concedo una bella zuppa di legumi condita con taralli e un pezzetto di formaggio, prima d’infilarmi nel mio sacco e godere di una volta stellata pazzesca, incorniciata dalle cime seghettate delle Dolomiti. Credo che di meglio non mi potesse capitare!



Venerdì 13 ottobre 2017                                  Consulta la mappa e scarica la traccia (previa donazione)

PASSO PORDOI (Dolomiti - Bl/Tn) - S. LORENZO DI SEBATO (Val Pusteria - Bz)

73 km  667D+  1975D- (dati da altimetro barometrico)

La stanchezza si accumula visto che anche la appena trascorsa nottata è stata poco proficua dal punto di vista del sonno, nonostante ci sia stata una pace da santi e la temperatura minima non sia andata sotto i 3 °C. Ma che volete fare?…sono fatto così, faccio fatica a dormire quando sono fuori, tendo al dormi-veglia. Spero solo di reggere lo sforzo dei prossimi quattro giorni visto che il recupero notturno è decisamente scarso. Intanto inizio il terzo (giorno); un po’ in sordina, a dire il vero, dal punto di vista dello spettacolo mattutino che avrei sperato di vivere: il sole infatti è stato occultato da un’estesa banda di nuvole medio alte che purtroppo hanno inibito l’intensa colorazione tipica di queste monta gne. Peccato! Non si può avere tutto, accontentiamoci. Come dicevo, ci sono nuvole in cielo ma non mi destano preoccupazione, anche perchè verso sud vedo che è tutto pulito…magari più tardi migliora anche quì. Intanto m’accingo al rituale della colazione, abbondante come sempre; c’è bisogno di carburare la mattina, non si può lesinare su carboidrati e zuccheri semplici. Intanto mi godo comunque lo scenario intorno visto che ieri sera era un po’ tardino per farlo :-)  Guardando giù, a valle, mi sovvengono tanti ricordi: di quando ero alle prime armi con escursionismo e trekking e mi accingevo a scoprire queste vallate e queste montagne con uno stupore quasi bambinesco. Sono passati tanti anni, non sono più un ragazzino, ma la naturalezza del mio osservare e lasciarmi stupire è rimasta, e di questo vado fiero e ne sono felice. Saper guardare il bello, sempre e comunque, senza stancarsene, è qualcosa che in parte è innato ma in larga misura - credo - si debba invece coltivare nel proprio cuore, ogni volta che ne capiti l’occasione. Ma ora bando alle riflessioni, è tempo di partire; oggi altra giornata abbastanza impegnativa, anche se il dislivello positivo sarà più contenuto del previsto stando alla scelta di dormire più in alto. Anche per questa tappa la partenza è in discesa ma durerà molto meno rispetto a ieri. Tocca comunque coprirsi bene perchè fa piuttosto freddo e con la velocità la temperatura avvertita è maggiore di quella misurata. Scendo fino al bivio per il passo Sella, quindi prendo a destra e la strada inizia subito ad inerpicarsi. Decido quindi di fermarmi per togliermi lo strato intermedio e lasciare il guscio ben aperto visto che comunque con la sola maglia intima ancora non riuscirei a stare. Si riparte mentre vengo superato da un paio di coppie di ciclisti di giornata. Nel vedermi avranno pensato: “ che matto!”. Loro vanno leggeri e quindi spediti, io carico e lento. Questione di stile :-)  Ciclisti a parte, su questo tratto di strada mi terrà “compagnia” (si fa per dire) una sovrabbondanza di mezzi motorizzati: dall’auto di cilindrata over 2000 (ho incontrato più Porche in questo tour che in tutta la mia esistenza!) al pullman turistico, dalle roboanti moto al camion. Insomma…un mix pericoloso e puzzolente di mezzi che davvero non mi sarei aspettato in questo periodo dell’anno. La cosa mi rende decisamente nervoso, specie quando i motociclisti accelerano proprio mentre mi stanno passando accanto. Mi parte qualche accidente, spero capiate le ragioni. Comunque…tornando alla salita, in questo primo tratto essa non risulta troppo acerba; sarà forse perchè sono fresco (in tutti i sensi!). Dal bivio sono circa 6 chilometri e mezzo di ascesa e le pendenze si attestano tra il 9 e il 13 percento, con un tornante al 16, più in alto. Ora invece mi trovo a percorrere un bel tratto in falsopiano, all’altezza di alcuni alberghi, incastonato tra le possenti montagne del gruppo del Sella; bello! Ma il relax dura poco, la strada torna ad impennarsi in prossimità di una curva verso sinistra. Salgo col mio solito ritmo: lento ma costante. L’aria è quieta ma le nuvole non se ne vanno; il sole è relegato alle montagne e le vallate più meridionali. E’ incredibile constatare quanta gente sta salendo al passo, mi stanno superando davvero tanti mezzi, quasi da non credere. Me ne faccio una ragione e intanto alzo lo sguardo alla ricerca di alcuni climber alle prese con l’impressionante parete sud del Piz Ciavazes; bel coraggio! Io preferisco pestare la terra con i piedi, o al più rotolarci sopra con delle ruote ;-) Con la dovuta concentrazione finalmente mi trovo fuori dal piano altitudinale delle conifere, il che significa essere a buon punto, oltre a riuscire meglio ad apprezzare quel che ho intorno. Anzi…visto che il cartello segna -3 tornanti alla vetta, decido di gustarmelo meglio prevedendo una sosta. Dirimpetto ho le slanciate cime del gruppo del Sassolungo mentre alle spalle si scopre e si erge la Marmolada col suo ghiacciaio sempre più esile. Riparto e poco dopo mi gioco il famoso tornante al 16%; niente d’impressionante visto che la pendenza torna su valori umani subito dopo. Sono a meno di un chilometro; il passo è là, ormai vicino e quasi alla stessa mia altitudine, mentre scorgo un’affollamento straordinario di mezzi e gente…da non crederci! Ed ecco che arrivo anch’io a far mucchio ai 2240 metri di altitudine del passo Sella, cercando un angolino tranquillo e possibilmente riparato dalla brezza che ora spira e non risulta piacevolissima visto che sono un po’ sudato. Giusto il tempo di vestirmi e di guardare fugacemente e con un certo disgusto questi turisti tutti affannati ad andare di quà e di là, ed eccomi già pronto a buttarmi a capofitto nella discesa sul versante opposto: prossima destinazione passo Gardena. Mi abbasso di poco, decido di fermarmi perchè mi si offre un bello scenario e mi piacerebbe d’immortalarlo con la mia bella compatta: la visuale è ampia e comprende il bel versante nord-occidentale del gruppo del Sella e in profondità le montagne del Puez-Odle, mentre alle spalle mi ritrovo il Sassolungo. Riparto. Le ruote girano veloci in questo tratto, la pendenza è importante e sono ben contento di non doverla affrontare in salita. In pochi minuti sono già al bivio che a sinistra indica le località turistiche della val Gardena mentre io prenderò a destra, in salita, per salire al secondo passo di giornata. Sono già le 13, stamattina sono partito piuttosto comodo; decido di fermarmi ora per fare uno spuntino anche se riconosco essere la scelta migliore visto che mi attende tutta la salita: circa 6 chilometri. Mi terrò leggero preferendo cibi energetici e facilmente assimilabili. Intanto mi gusto lo spettacolo dell’autunno che quì sembra aver attecchito in maniera seria e fiabesca: una cromia variegata a cui partecipano abeti e larici…spettacolo! In questo tratto di strada noto esserci molto meno traffico, ma forse solo perchè l’ora è da “tavolo e piatto” un po’ per tutti. Finalmente si torna a vedere un po’ di azzurro e, nonostante l’altitudine, il clima è decisamente mite; scelgo quindi di salire solo con l’intimo lungo. La strada è piacevole, circondata da gruppi di abeti e larici; la pendenza non è eccessiva: credo siamo intorno al 5-7%. Ho modo di gustarmi beatamente il paesaggio, in questo tratto davvero pittoresco ma solenne: di fronte a me le pareti delle Mesules e Murfreit che hanno fatto la storia dell’alpinismo dolomitico. Supero un bel albergo in legno in un tratto con maggior pendenza ma sono galvanizzato dallo spettacolo di colori e forme che mi si para attorno. Raggiungo un tratto in piano e decido per una nuova sosta fotografica; non si possono lasciar sfuggire certi momenti. Ora la strada scende brevemente ma velocemente fino ad un tratto in pianura, peraltro molto suggestivo. Da quì mancano pochi tornanti in salita e approfitto per altre soste fotografiche, gli scorci sono pittoreschi e carichi di autunnalità. Le pendenze si mantengono ragionevoli e nel frattempo vengo superato da un paio di coppie di ciclisti, una della quali su e-bike; furbi loro! Finalmente anche l’ultima fatica di giornata si è conclusa: sono ai 2121 metri dia ltitudine del passo Gardena. Anche quì una nutrita folla di turisti e tante auto parcheggiate nel deturpante parcheggio costruito appena sotto il valico. Una breve sosta, soprattutto per rivestirmi e via, si riparte in discesa: direzione Corvara. Si va veloci, anche troppo! Le pendenze sono maggiori rispetto all’altro versante, ho la sensazione che restino sempre sopra il 7% con vari tratti oltre il 10; anche in questo caso sono più che felice di aver salito sul versante più agile. Non manco di fare un paio di soste fotografiche però decido di non soffermarmi troppo perchè mi accorgo che non è prest issimo e, nonostante da quì in avanti il percorso sia praticamente tutto in discesa, mi restano ancora oltre 40 km da percorrere. Supero quindi Corvara, ubicata in bella posizione ma poco o per nulla interessante come paese, e inizio a percorrere l’interminabile val Badia, accompagnato a lungo dalle pareti che a destra delimitano il parco naturale Sennes-Fanes mentre a destra il richiamo forte è tutto per il Sasslongher, una montagna magnifica ancora capace di stupirmi per la sua eleganza. Intanto raggiungo La Villa, paese ubicato al crocevia con la valle di San Cassiano, porta d’accesso al passo Falzarego e a Cortina d’Ampezzo. La strada è ancora piacevolmente scorrevole, a parte qualche breve tratto in falsopiano, e questo mi permette di guadagnare chilometri. Rimarrà tale praticamente fino all’ingresso in val Pusteria dove lo scenario cambia radicalmente rispetto a quello visto fino a poco prima: vallata ampia e solare, adagiata tra alte colline addobbate a boschi e a praterie puntellate di baite e malghe. Siamo nel cuore del Sudtirol, un pezzo d’Italia che suona tedesco. Percorro a malincuore un tratto della strada principale di fondovalle per raggiungere San Lorenzo di Sebato visto che questa notte ho deciso di concedermi il lusso di un pernotto in camping: il Wildberg. In breve mi ritrovo in questo paesino in cui l’unica attrattiva sembra essere la slanciata chiesa ubicata nella piazzetta centrale. Approfitto di un market per fare provviste (frutta e cena a base di legumi e sgombro) e vado alla ricerca del camping che, stranamente, risulta scarsamente segnalato. E devo dire che non me lo aspettavo neanche così: ingresso per nulla appariscente e uno spazio delimitato da una staccionata che lo separa dalla ciclovia della val Pusteria. Dopo le formalità di registrazione e assegnazione del posto tenda, decido di lasciare le borse e partire scarico alla volta della vicina Brunico, sfruttando la ciclabile. Sono piuttosto stanco ma percorro velocemente i circa 3 km che mi separano dalla bella e rinomata cittadina pusterese. Raggiungo rapidamente il centro e attraverso il corso principale, cercando una pizzeria perchè nel frattempo lo stomaco reclama tutto il mancato cibo delle ultime 4 ore. Ne ingurgito ben tre pezzi, anche troppo velocemente, ma sento il bisogno di rientrare per preparare la “cuccia” e mettermi sdraiato quanto prima; le tante ore di sonno perse cominciano a farsi sentire. Chissà che stanotte sia la volta buona! Al rientro al camping una coppia mi vede mentre sto iniziando il montaggio della tenda e chiaramente capisco che hanno voglia di chiedere. Subito s’identificano come appassionati di cicloturismo e MTB, snocciolando (lui) ad uno ad uno i numerosi viaggi, sia italiani che europei, da loro compiuti. A confronto mi sento piccolo ma non necessariamente una nullità, perchè sono consapevole dell’essere un novizio, ma questo non necessariamente mi deve far sentire inferiore o incapace. La chiacchierata si conclude e i due li vedo accomodarsi all’interno del camping: sono anch’essi ospiti. Rapidamente monto la tenda ma decido di omettere il telo superiore (mai errore mi sarà più fatale!) perchè ritenuto superfluo visto che il tempo è buono e - ho pensato - la temperatura quì a valle non sarà più proibitiva dei giorni precedenti trascorsi in quota. Mai valutazione sarà risultata più sbagliata! E il perchè ve lo racconterò domattina.


Sabato 14 ottobre 2017                                   Consulta la mappa e scarica la traccia (previa donazione)

SAN LORENZO DI SEBATO (Val Pusteria - Bolzano) - CORTINA (Dolomiti - Belluno)

67 km  1200D+  935D- (dati da altimetro barometrico)

Ore 6.20: dal sacco inizia a trapelare luce. Mi decido ad uscire nonostante annuso un’aria non proprio mite e oltretutto anche abbastanza umida. Ed ecco la brutta sorpresa in cui mi ritrovo: tutta l’umidità accumulata sul telo durante la notte si era completamente ghiacciata, tappezzandolo sia dentro che fuori con decine e decine di gocce saldamente attaccate. Quasi non ci potevo credere perchè non avrei sospettato che la temperatura sarebbe scesa così tanto. E invece… :-(  Mi armo di forza di volontà vestendomi rapidamente e iniziando quindi la lunga fase di distaccamento del gelo dalla tenda. In questa operazione non ero neanche agevolato dai raggi solari perchè il camping purtroppo ha una posizione mattutina ombreggiata. Per farla breve vi dico solamente che, oltre ad essermi quasi congelato le mani, tra tutto ho perso quasi 3 ore prima di riuscire a mettermi sui pedali. La prossima volta metto il doppio telo, promesso! :-) Per fortuna che la situazione meteorologica è immutata e mi ritrovo a pedalare in un’altra giornata con cielo sgombro da nubi anche se freddina. Mi occorrono non pochi chilometri prima di riuscire a scaldarmi, anche perchè i primi sono quasi sempre in ombra. Oggi si pedala sulla famosa ciclabile della val Pusteria, da ovest verso est: una pista adatta a tutti visto che si svolge praticamente nel fondo valle (se si escludono alcune varianti/deviazioni) e con dislivello esiguo, anche se non mancano quei brevissimi strappetti sui quali chi viaggia carico farà fatica a mantenere l’andatura. E’ davvero molto piacevole pedalare quì: il percorso fino a poco oltre Brunico si mantiene prossimo al fiume in un ambiente suggestivo, alternando l’asfalto a brevi tratti in battuto, superando addirittura alcune brevi gallerie costruite ad hoc e ovviamente illuminate. Il tutto “condito” da una segnaletica, sia orizzontale che verticale, che ti fa percepire che siamo davvero su un altro Mondo. Gli altoatesini non scherzano su queste cose! Nonostante la giornata sia lunga, me la sto prendendo comoda: mi sto godendo questo paesaggio davvero incantevole e pittoresco. Raggiungo i primi paesi successivi a Brunico: Valdaora di Sotto e Valdaora di Mezzo. Come tutti i paesi altoatesini anche questi con il loro campanile alto e aguzzo che si fanno ben notare già da lontano. Salgo in breve al secondo e decido per una sosta al minimarket per fare provviste. Al banco freschi noto una serie d’invitanti formaggi locali e appena dietro un nutrito scaffale ricco di pani di tutti i tipi. E allora come rinunciare ad un gran bel panino? Ma sì…vada per due, tanto oggi si consuma! :-) Riparto più motivato al pensiero di un lauto pranzo che mi attenderà tra non molto. Sono decisamente indietro rispetto alla tabella di marcia; cerco di fermarmi meno per lefoto e di godermi visivamente la piacevolezza del rilassante paesaggio di cui sono circondato. La ciclabile passa accanto al bacino artificiale di Valdora e poco dopo transita in periferia a Monguelfo; una deviazione con cartelli invita ad andare alla sua scoperta ma stavolta decido di proseguire. Da quì la valle tende a divenire ancora più ampia e solare e i verdissimi e luminosi prati da poco falciati fanno da contrappunto alle non lontane cime alpine sul confine italo-austriaco. Sono sempre più attonito nel contemplare questo paesaggio armonioso e fiabesco e decido quindi di gustarmelo per qualche minuto standomene fermo in un’area attrezzata con tavolini e panche che sembra proprio il posto ideale per consumare i due super farciti panini altoatesini. Delizia per gli occhi ma soprattutto per il palato. Ogni tanto passa qualche ciclista ma, a quanto pare, fin’ora mi ritrovo ad essere l’unico a viaggiare in assetto cicloturistico. Non che mi rattristi ma magari sarebbe piacevole incontrare qualcuno che come te sta vivendo un’esperienza su più giorni. Riparto e dopo un tratto di leggera e piacevole salita tra prati e brevi boschetti, raggiungo in discesa Villabassa dove per un piccolo tratto la ciclabile praticamente condivide gli spazi con la provinciale, una rarità da queste parti! Qualche chilometro ancora e sono in periferia a Dobbiaco (che tralascio per le solite ragioni di tempo), punto in cui abbandono la ciclabile della val Pusteria per voltare a destra e imboccare un’altra famosa ciclabile: quella delle Dolomiti che collega Dobbiaco a Calalzo di Cadore, passando per la famosa e rinomata Cortina d’Ampezzo. La giornata si mantiene soleggiata e pulita facendomi apprezzare al meglio la bellezza del paesaggio che ora cambia decisamente fisionomia: mi ritrovo ad imboccare la valle di Landro, stretta tra montagne ben più alte e severe di quelle viste fin quì quest’oggi. Il verde dei prati è davvero straordinario ed armonizza senza stonature con i colori autunnali dei boschi attorno. Dopo poche centinaia di metri in falsopiano la pista diviene brecciata e inizia a salire un po’. Ma ecco quasi subito un cartello che indica una deviazione a destra: la ciclabile sarebbe chiusa per un tratto di qualche chilometro a causa delle recenti frane distaccatesi per le forti piogge dei mesi primaverili. Va be’…pazienza, ci adeguiamo. Quindi si prosegue in salita su di una pista forestale ugualmente brecciata ma leggermente sconnessa (qualche sasso e pietra sulla sede stradale) che rende meno agile la pedalata con una bici carica. Questo tratto mi accompagnerà fino alle sponde del sorprendente e magnifico lago di Dobbiaco, luogo che non ti aspetti ma del quale si fa presto ad innamorarsi. Sulla sua sponda trovo uno strategico punto ristoro, pieno zeppo di turisti e di biciclette. Effettivamente il posto merita una sosta prolungata per godere di quest’oasi di piacevolezza. Peccato però che la mia sosta dura il tempo di qualche foto perchè è un po’ tardino per trattenersi; mi attende ancora molta strada e in salita. Da quì riprendo il percorso naturale della ciclabile che costeggia il bordo orientale del lago, fino ad arrivare ad un nuova interruzione, sempre per il solito motivo, che mi obbliga stavolta a percorrere un tratto un po’ più accidentato per via delle numerose pietre sporgenti presenti sul fondo stradale che obbligano a zizagare. Non è molto agevole farlo con una bici carica però la mia Fargo è audace e si destreggia in modo impeccabile in situazioni promiscue come questa. In questo punto la valle si restringe tra montagne slanciate e verticali che attirano prontamente il mio sguardo, lasciandomi letteralmente estasiato dalla loro selvaggia bellezza, per di più accentuata da gruppi di larice in veste autunnale. Non dovrei, anche per la difficoltà nel ripartire, ma qualche foto è d’obbligo. Terminato questo passaggio, che alla fine è risultato divertente oltre che appagante visivamente, la pista torna ai suoi connotati più classici e tranquilli, affrontando un tratto di pianura più arioso, immersi tra boschetti di conifere e i soliti verdeggianti prati. Dopo un po’ di chilometri si raggiunge un’area prativa ben più grande dalla quale si ha la visione di un paesaggio davvero stupendo, reso ancor più bello dalla luce ormai tagliente, che meriterebbe di essere contemplato a lungo. Decido di fermarmi nel momento in cui sulla sinistra vedo diramarsi una vallata stretta dove in fondo sbucano a sorpresa addirittura le Tre Cime di Lavaredo, quasi irriconoscibili da questa insolita prospettiva. E invece di fronte, in fondo alla val di Landro, un muro di roccia inquietante e ombrato si leva verso il cielo, dando quasi l’impressione che non ci sia modo di proseguire: sono le montagne del gruppo del Cristallo. Come potete immaginare mi sento al settimo cielo e mi resta davvero difficile staccare gli occhi da tutto questo ben di Dio per riprendere a pedalare. Ma il dovere mi chiama. Pochi minuti ed eccomi al secondo lago di questa sorprendente vallata dolomitica: il lago di Landro, appunto. Forse meno appariscente del primo ma comunque la vista sul Cristallo è impagabile. Questi primi 40 km sono trascorsi abbastanza agevolmente ma tra un paio mi sottoporrò al “gran pemio della montagna” di giornata: la tappa infatti si discosterà sensibilmente dal tracciato normale della ciclabile perchè andrò ad eseguire una variante con la quale portarmi a visitare un’altro dei luoghi simbolo di queste parti, ovvero il lago di Misurina. Cinque chilometri di salita attraverso la val Popèna, non troppo duri ma neanche morbidi, circondati sempre da boschi di conifere…e da qualche auto di troppo :-( Pedalo con un ritmo che mi sembra efficace però comincio anche ad accusare segni di stanchezza e patisco l’aria fresca di questa vallata quasi ormai del tutto in ombra. Ma non mi voglio fermare per vestirmi, insisto a salire con la sola maglia intima a maniche lunghe sforzandomi di resistere al freddo. Le pendenze credo restino sempre intorno al 7-8%, in qualche passaggio anche qualcosina in più, e la salita non offre momenti di riposo. Arrivo finalmente al suo termine e prontamente mi copro, mentre mi godo sullo sfondo, al di là di un’ampia prateria, le montagne tinte con tonalità calde adornate dal lariceto in veste autunnale. La pedalata torna facile su questo tratto di discesa in falsopiano, mentre alla mia sinistra tornano le Tre Cime di Lavaredo, quà nel loro lato più riconoscibile. Raggiungo il bivio con la strada che sale al rifugio Aurionzo, punto di accesso al periplo delle Tre Cime, e proseguo raggiungendo finalmente con una brevissima discesa il celeberrimo lago di Misurina. C’è soddisfazione, soprattutto per il fatto di trovarmi in questi luoghi visitati tanti anni or sono, ma stavolta in veste di cicloturista. Mai nella mia vita avrei immaginato una cosa del genere e questo mi rende fiero e felice. Certo…è un luogo fin troppo turistico per i miei gusti, ma la bellezza dei ricordi di giovinezza riescono a stimolarmi slanci di rinnovata meraviglia verso luoghi che comunque mantengono un certo fascino. Le luci taglienti disegnano gran belle emozioni all’orizzonte ma mi stanno anche comunicando che, riprese le forze dopo gli ultimi morsi a quel pezzo di panino che non avevo terminato a pranzo, è davvero ora di ripartire. Mi attende infatti un’ultima salita, quella per il passo Tre Croci che, seppur di soli quattro chilometri, sarà sufficientemente ripida per farmi sentire tutta la stanchezza di giornata. Una discesa veloce mi porta fino al bivio che a sinistra scende verso Auronzo ma è a destra che si torna a salire, seppur agevoli in questo primo tratto. Addirittura più avanti pedalerò su un tratto a mezza costa praticamente pianeggiante, dandomi il tempo di guardarmi intorno per gustare le superbe pareti del Cristallo che si sta arrossando. Lo scialo non dura molto ed eccomi giunto al tratto finale dell’ascesa, quello più ripido. Nonostante ciò sembro avere ancora la forza di reagire e la pedalata non è poi così affannata come temevo. Resto concentrato, certo che in poco tempo sarò al valico, mentre le strade si svuotano del traffico fastidioso. Eccomi quà, in cima all’ultimo sforzo di giornata, mentre il sole scema dietro l’orizzonte, infiammando il bosco e le montagne attorno…momenti di magia da gustare in silenzio! Mi vesto per bene in vista degli 8 chilometri di discesa veloce che mi separano dalla meta finale. La velocità che si acquista è notevole per via della pendenza e del peso della bici e quindi devo mantenere la giusta concentrazione per non fare errori proprio adesso. Per di più la luce crepuscolare non agevola, scendendo praticamente dentro il bosco. Ma con la dovuta calma di nervi raggiungo in pochi minuti la periferia di Cortina e percorro il suo famoso corso principale dove trovo ancora gente dedita al passeggio tra le vetrine sfarzose di questa città un po’ troppo per ricchi. Giusto una foto ricordo e mi allontano velocemente da questi luoghi a me poco affini, non prima di aver ricevuto da un gentile signore le informazioni sulla giusta direzione da prendere per raggiungere il camping Cortina, la mia dimora “comoda” per questa notte.


Domenica 15 ottobre 2017                              Consulta la mappa e scarica la traccia (previa donazione)

CORTINA (Dolomiti - Belluno) - RIFUGIO PUSSA (Val Settimana - Dolomiti friulane)

90 km  1064D+  1191D- (dati da altimetro barometrico)

Notte decisamente più agiata e asciutta della precedente ma la quantità di sonno è sempre davvero troppo modesta. :-(  Ormai mi sono rassegnato e quindi sguscio fuori dalla tenda poco prima dell’alba almeno mi godo un po’ di colori sulle montagne circostanti. Ogni tanto un po’ di comodità non guasta e il camping è sicuramente il giusto compromesso tra prezzo da pagare e servizi ottenuti. Oggi mi tocca la tappa più lunga del tour: mi trasferisco dalle Dolomiti “classiche” a quelle friulane, visitate recentemente in modalità trekker, sfruttando nella prima parte la ciclabile delle Dolomiti. Il dislivello non sarà molto ma i chilometri si faranno sentire; e poi vivrò sicuramente un po’ l’ansia per via dell’ultima parte della giornata dove dovrò affrontare (possibilmente prima del buio) circa 13 km di stradina, in parte asfaltata, che, con salite modeste, mi condurrà - diciamo - “fuori dal Mondo” fino al giaciglio ubicato in alta val Settimana. Ma bando alle ciance e ai pensieri, è ora di partire! Anche oggi la giornata inizia all’insegna del tutto sole e aria cristallina…chi l’avrebbe mai detto di avere una sequenza di giornate spettacolari in questo periodo?? A questo punto mi auguro davvero che il bel tempo mi accompagni fino alla fine del tour. Partenza non proprio di buon ora e un po’ troppo “a strappi”: come al solito mi frega la passione fotografica. Ma del resto come si fa a non immortalare certi paesaggi e panorami? Per fortuna che tutta la prima parte si svolge praticamente in discesa, percorrendo per l’intera lunghezza la valle del Boite. Sul lato sinistro mi sfilano via due colossi: prima il Sorapis poi l’Antelao, quest’ultima seconda vetta delle Dolomiti. Sulla destra invece montagne meno elevate, almeno fino a San Vito di Cadore, quando invece la vista si fa decisamente significativa e interessante per l’apparizione di una delle montagne più particolari e più belle delle Dolomiti: il Pelmo. La pedalata lungo questa bella pista ciclabile è davvero rilassante perchè la discesa non è mai ripida e quindi consente maggiormente di guardarsi intorno e di fare brevi soste. Passato San Vito raggiungo velocemente Borca di Cadore e poco oltre Vodo di Cadore, ultimo comune (scendendo) della val Boite. Oltre la frazione di Peaio la ciclabile si fa meno rettilinea, seguendo le anse della valle, prevedendo anche un brevissimo tratto di sterrato con pendenza più accentuata. Il percorso è sempre gradevole e mi piace pensare che sto pedalando su quella che anni fa era la linea ferroviaria che univa il Cadore a Cortina. Dopo una pronunciata ansa al cospetto dell’incombente e maestoso versante meridionale del monte Antelao, con un traverso semi pianeggiante raggiungo Valle di Cadore, ubicata in posizione soleggiata e panoramica. La voglia di fermarsi ci sarebbe, dettata anche da un certo appetito che si sta facendo largo nello stomaco, ma purtroppo sono costretto a proseguire senza visitare questi paesi, la strada da fare è molta e ho tutta la salita che m’attende. All’altezza di Pieve di Cadore il tracciato piega decisamente verso sud e, abbandonando la ciclabile delle Dolomiti, m’immetto finalmente nella famosa ciclovia Monaco-Venezia, 560 km attraverso tre Nazioni e 3000 metri di dislivello, che mi accompagnerà per i prossimi chilometri lungo la valle del Piave, fin’oltre Longarone. Il primo tratto praticamente si svolge sulla ex-statale declassata e ciò non mi dispiace perchè il traffico è praticamente nullo. La strada scende più decisa e con alcuni ampi tornanti raggiunge il fondovalle nei pressi di Perarolo di Cadore. Avvisto una panchina ad un incrocio e decido di fermarmi per una breve sosta culinaria: ho bisogno di rimboccare carboidrati. Riprendo il viaggio e tolgo uno strato visto che sono le ore centrali della giornata e la quota di fondovalle fa percepire la mitezza dell’aria. Cerco di pedalare senza distrazioni su questo bel tratto di strada in falsopiano, sempre scarsamente trafficata, che solo all’altezza di Ospitale lascerà di nuovo spazio alla vera ciclabile. Da quì fino alle porte di Longarone il tracciato compie anche qualche brevissimo saliscendi rendendo la pedalata meno monotona e a poca distanza dal fiume Piave. La valle si allarga ed è l’annuncio del mio arrivo a Longarone, cittadina tristemente nota per la tragedia del Vajont che costò la vita a quasi 2000 innocenti. Il pensiero triste di quanto accaduto torna sempre a galla ogni volta che vengo da queste parti, condito da quel po’ di rabbia perchè, come spesso accade, anche questo disastro si poteva evitare. Sono di nuovo a corto di energie e siccome da quì dovrò iniziare ad affrontare le prime salite, decido di uscire dalla ciclovia e di raggiungere la vicina cittadina. Al centro trovo giusto appunto tre negozi che fanno al mio caso: uno di frutta e verdura (che sfrutto anche per fare un po’ di rifornimento), a pochi passi una gelateria che benedico di aver intercettato (gelato artigianale davvero pregevole!), e subito accanto un panificio/pasticceria che….beh…potete immaginare cosa abbia significato! :-) Alla fine mi sono “sparato” una gran bella coppa di buon gelato alle creme e un paio di pezzi di ottima pizza  casereccia, oltre ad aver prelevato per successive necessità i Sassi del Piave, dei dolcetti tipici locali che, se capitate da queste parti, non potete assolutamente farvi sfuggire! Stavolta la sosta è stata proficua ed abbondante, forse anche troppo visto che è già tempo di rimettersi in sella. Torno sui miei passi per andare a prendere dall’altra parte del Piave la strada che, con alcuni tornanti e paio di gallerie, rimonta il vallone del Vaiont dov’è posta la diga. La strada non consente margini di manovra visto che è anche un po’ trafficata, però trovo un punto panoramico da dove poter osservare dall’alto la costruzione e l’orrido sottostante, pensando con orrore al salto che ha compiuto l’enorme massa d’acqua prima di schiantarsi a valle e radendo al suolo Longarone e altri paesini più a valle. Dopo le gallerie la strada sale con una pendenza maggiore fino ad una curva con slargo per parcheggio (ovviamente pieno di moto e persone); proseguo e supero un tratto molto più agile che, dopo un’ulteriore galleria, anticipa la tristemente nota località di Erto. Non mi fermo, anche perchè c’è un bel po’ di gente per via di una sorta di festa tradizionale. Ora mi attende una breve e tranquilla discesa e subito una risalita, anch’essa lieve, per poi tornare a scendere all’altezza della località San Martino, gustandomi il paesaggio che ha cambiato decisamente i connotati rispetto a quelli di stamattina. Un piacevole soleggiato tratto semi-pianeggiante anticipa la penultima salita di giornata, quella che conduce al valico di Sant’Osvaldo, che, seppur molto breve, comincia a farsi sentire a quest’ora della giornata, dopo molti chilometri già percorsi. La valle si restringe e il sole non entra; la frescura si fa fastidiosa con il sudore della salita. Ma eccolo, il valico è ormai a una manciata di metri. Mi vesto prontamente perchè fa freddo e si torna in discesa, anche piuttosto ripida, per raggiungere il paese di Cimolais, porta d’ingresso meridionale del Parco delle Dolomiti Friulane, un’area di wilderness di quasi 40000 ettari, davvero meritevole di essere esplorata. Il paese è posto all’imbocco della stupenda val Cimoliana, percorsa escursionisticamente in un recente passato. Il tempo di un paio di foto e proseguo spedito lungo la strada di fondovalle, ancora in ombra, superando in piano il largo e caratteristico bacino sassoso del torrente Cimoliana. Poco dopo la strada punta a sud e scende per alcuni chilometri, solcando la vallata che quì è decisamente ariosa. Belle luci attorno mi accompagnano fino ad un bivio in cui abbandono la Regionale, seguendo le indicazioni per Claut, il paesino ubicato all’imbocco della val Settimana. La strada è in leggera salita ma sono stanco e un po’ infreddolito, oltre che in ansia di cominciare l’ultimo tratto; sono trepidante di conoscere cosa mi attende. Intanto il sole torna ad illuminare il tracciato ma durerà poco: l’ora è tarda e le montagne intorno anticipano il tramonto. Eccomi finalmente al ponte sul torrente ghiaioso del Settimana e all’imbocco dell’omonima valle. Approfitto degli ultimi raggi per fermarmi a mangiare una barretta e un po’ di frutta secca e per togliermi lo strato intermedio visto che, nonostante il fresco e l’ombra, il percorso tende alla salita. Si parte. L’inizio è ondulato e su stradina asfaltata; non sembra male. Il sole mi abbandona quasi subito e d’ora in poi sarò in compagnia di ombra e frescura serale. Passo accanto all’insegna del Tree Village, una struttura ricettiva alquanto alternativa visto che praticamente ti danno da dormire in casette di legno sugli alberi. Va beh…potrebbe essere anche un’idea carina ma per stasera, ormai, ho in mente altro :-) Proseguo con le risorse mentali un po’ ridotte all’osso ma non posso certo abdicare quì. Il tracciato è un po’ estenuante perchè non è una progressione a salire, bensì alterna in più occasioni delle risalite (alcune, seppur brevi, anche poco morbide) a tratti in falsopiano e a delle brevi discese che però hanno il peso psicologico di farti ricominciare tutto da capo. Inoltre in almeno un paio di punti a ridosso di grosse frane la strada è sterrata e con il fondo piuttosto pietroso in cui tocca zizagare. Raggiunto un ponticello sul torrente nei pressi della casera Settefontane tornano i saliscendi, alcuni anche discretamente impegnativi. Arrivati al ponte del Ciartèr la valle diventa più stretta e la stradina oltrepassa dei piacevoli boschetti. Comincio a percepire che non manca molto all’arrivo, o forse è più il desiderio di scendere dalla sella a riempirmi la testa; comunque finalmente la stradina (ora prevalentemente asfaltata) torna in falsopiano se non addirittura pianeggiante. E’ il preludio a quanto stavo poc’anzi anelando: esco dal bosco e la valle torna ad aprirsi lasciandomi scorgere in fondo all’ampia radura, ubicato su un poggio erboso sotto la montagna, il rifugio Pussa, il mio giaciglio comodo per questa notte. E’ gioia! Sono quasi le 19 quando mi ritrovo in questo angolo sperduto, da solo, investito da quella leggera ma sana inquietudine tipica del ritrovarsi in luoghi sconosciuti senza alcun, senon te stesso, su cui fare affidamento. E già…perchè il rifugio in questo periodo dell’anno rispetta la chiusura stagionale e di conseguenza mi adatterò nel suo bivacco invernale che, dopo averlo appreso dal sito della struttura, spero vivamente di trovare aperto! Attraverso il torrente utilizzando la passerella in legno; farlo con una bici carica non risulta essere una cosa scontata, specie se si è piuttosto stanchi, ma riesco a portare a termine l’operazione senza finire in acqua. Salgo gli ultimi metri sul selciato in pietra e mi ritrovo di fronte a questo caratteristico nonché non proprio piccolo rifugio piramidale di color rosso che s’intona perfettamente con le tonalità calde del bosco attorno. Nonostante la solitudine e l’essere in un luogo isolato rispetto alla civiltà, avverto quella sensazione di casa che mi mette a mio agio. Individuo la porta di accesso al bivacco invernale e con grande gioia la maniglia si abbassa: sono dentro. Ed è con grande sorpresa che mi ritrovo in un bivacco piuttosto capiente, dotato di tavolo e panche, e molto ben tenuto; sembra ristrutturato di recente. E’ tutto in legno e i quattro letti a castello sono meravigliosamente dotati di materassi belli solidi che danno l’impressione di essere molto nuovi. Per non far pubblicità non scrivo il nome ma posso garantirvi che erano di marca! La fatica ha ceduto il passo alla contentezza di ritrovarmi nel posto giusto al momento giusto; credo infatti che questo bel posticino mi riserverà finalmente un sonno da umani.


Lunedì 16 ottobre 2017                                     Consulta la mappa e scarica la traccia (previa donazione)

RIFUGIO PUSSA (Val Settimana - Dolomiti friulane) - PIAN CANSIGLIO (Tv - Veneto)

79 km  1285D+  1203D- (dati da altimetro barometrico)

Nottata trascorsa in un silenzio siderale, quasi spaventoso ma incredibilmente bello. E finalmente sono riuscito a dormire qualche ora in più del solito. Mi affaccio fuori e il sole ancora non brilla sulle cime, però il cielo continua ad essere blu. Che gioia! Come di consueto mi accingo a preparare la colazione e ricomporre i bagagli; da alcuni giorni sono operazioni queste che avvengono con una loro metodica e, dopo l’impaccio iniziale, ormai ho acquisito una certa praticità e velocità nell’eseguirle. Oggi sarà l’ultima vera tappa di questo faticoso ma stupendo tour e sulla carta non sembra molto diversa da quella appena trascorsa: un bel numero di chilometri e una discreta dose di dislivello. La meta finale mira a visitare un luogo che esula dal contesto dolomitico di questo giro ma di cui ho sentito spesso raccontare sulle riviste di montagna: sto parlando dell’altopiano del Cansiglio e delle sue estese e affascinanti foreste. Eccomi pronto a lasciare questo luogo mentre il primo sole bacia le cime più alte. E’ piuttosto fresco ed umido per via anche del vicino torrente e del bosco. Da quì percorrerò a ritroso tutta l’ultima parte della tappa di ieri, ovvero quella che da Longarone mi ha condotto fin quì; una discreta serie di saliscendi quindi mi accompagnerà fino al ritorno nella valle del Piave. Affronto la stradina della val Settimana con la dovuta cautela visto che ci sono diversi tratti senza asfalto da affrontare ora anche in discesa. Non vedo l’ora di raggiungere il sole, mi sento un po’ teso per via del freddo, ma dovrò attendere fino all’uscita da questa valle. Una quarantina di minuti e ci sono, finalmente i raggi tornano a scaldarmi. Approfitto per una sosta “ritorno alla civiltà”, rispondendo ai vari messaggi e chiamate del giorno prima visto che dentro la val Settimana non ho avuto mai connessione. Non mi dilungo nella descrizione di questo tratto di percorso visto, che è lo stesso del giorno precedente, però posso assicurarvi che me l’ho goduto molto di più, soprattutto per merito della luce che ha illuminato parti di paesaggio che il giorno precedente erano già in ombra o in silouette. Ho impiegato un po’ ma finalmente eccomi nel fondovalle nei pressi di Longarone. Stavolta non la visito e imbocco subito la strada che scorre sul lato idrografico sinistro e che è segnalata con le indicazioni della ciclovia Monaco-Venezia. Questi prossimi chilometri saranno i più agevoli della tappa: prevalenza di tratti in falsopiano a scendere con alcune brevi e modeste risalite. Il fiume Piave non è mai troppo distante. Si continua così fino al paese di Soverzene dove abbandono le indicazioni della Monaco-Venezia per seguire a sinistra quelle della ciclabile che conduce fino al non lontano lago di Santa Croce. Questa inizia nei pressi di un’opera idraulica che viene bypassata attraverso una realizzazione alquanto inaspettata e ben fatta dove ci si ritrova a pedalare dapprima dentro una breve galleria e subito dopo su un breve tratto molto suggestivo dove la ciclabile è ancorata alla parete rocciosa, sospesa di qualche metro sopra il bacino del Piave. Si prosegue con percorso piacevole e pressoché in piano, superando una bella area naturale posta sotto a delle pareti rocciose. A tratti l’asfaltatura della pista lascia il posto ad un bel battuto che non dispiace. Il paesaggio che si gode lungo questo tratto è davvero piacevole anche se ben diverso da quello visto fino a poche ore prima, e la pedalata ne giova in efficacia, mi sento bene. Mi accompagnerà per diversi chilometri il canale idraulico Cellina, inizialmente a sinistra della ciclabile e poi a destra, per ritornare a sinistra poco prima di giungere nei pressi del bacino di Santa Croce, che vedrò non prima di aver attraversato un suggestivo bosco fluviale dove sembrano esserci numerosi percorsi (a piedi e in MTB). Un ponte alla Brooklin anticipa una lunga e asciutta spiaggia che si affaccia su questo bacino artificiale immerso tra alture modeste. Approfitto per ristorarmi un po’ visto che da quì mi attende una lunga salita verso la meta finale di questa tappa: il Cansiglio. Come al solito non è prestissimo, considerando che di questi tempi la luce serale scarseggia. E visto l’ignoto che mi attende (e che ignoto!!), decido di ripartire poco dopo per avere più tempo a disposizione lungo l’ascesa. Mai decisione fu più azzeccata e capirete subito il perchè. Raggiungo il vicinissimo paese di Farra d’Alpago e seguo le indicazioni stradali per il Cansiglio. L’inizio non è per niente incoraggiante: svolta a destra e mi ritrovo a secco su una micidiale rampa missilistica che ho stimato essere superiore al 10%. Non so per quale ragione ma mi sentivo ottimista illudendomi che a breve la strada avrebbe assunto connotati umani e che questa rasoiata fosse solo una nota stonata all’inizio di un’armonia. Ma sono bastati una curva e poche altre pedalate per capire che la melodia era tutt’altro che piacevole! La pendenza non diminuiva, anzi, mi sono ritrovato su tratti ancora più ripidi; non mi sentivo pronto psicologicamente ad affrontarli proprio perchè mi ero diversamente illuso. Trascinare la bici zavorrata su pendenze di questo genere è davvero una sofferenza fisica e psichica abnormi, specie se queste perdurano per alcuni chilometri che diventano interminabili. Mi sono ritrovato sul punto di cedere, alzandomi addirittura sui pedali (cosa che non faccio mai) o zizagando nel tentativo di mitigare quella pendenza assurda (auto permettendo), ma alla fine non ho abdicato e stringendo fino all’impossibile i denti ho conquistato la località di Valdenogher, luogo in cui termina il calvario lungo 4 km. Inutile scrivere che quì mi sono fermato almeno per riprendere fiato, forza e battiti cardiaci ragionevoli. Solo a casa avrei scoperto di aver salito su pendenze per professionisti (vedi foto sotto) e che questa salita è stata oggetto di una tappa del Giro d’Italia (e ci credo!). A questo punto, non sapendo cos’altro avrei potuto trovare lungo il restante percorso, decido di non raffreddarmi troppo e di ripartire. Per fortuna m’attende una breve discesa e un tratto semi-pianeggiante, prima di riprendere la salita verso la graziosa frazione di Spert che però risulterà decisamente di stampo umano. Altra brevissima sosta, per rimpinguare le borracce alla fontana in piazza, quasi convinto del fatto che il peggio sia alle spalle…o almeno lo stavo sperando tanto. In effetti la ripartenza è di nuovo a favore: tratto in buona discesa sul quale però comincio a sentire un po’ troppo fresco, mentre il paesaggio cambia e mi ritrovo di colpo immerso nel bosco misto di faggi e abeti sapientemente illuminato da una luce tagliente, regalando attimi d’incanto autunnale. Una curva secca verso destra e la strada torna ad inerpicarsi anche se con pendenze minori di quelle iniziali, ma inevitabilmente risento dello sforzo patito in precedenza. Come al solito tengo duro, insisto, facendomi supportare dalla piacevolezza dell’ambiente in cui mi ritrovo e dalla sensazione che manchi poco alla meta. Finalmente nei pressi della località Campon la strada scende e supera una radura con alcune case ed un ristoro, poi rientra nel bosco e dopo una curva verso sinistra torna a salire dolcemente. Riesco dal bosco, i suoi margini si allontanano un po’ dalla strada, e più avanti, ad una curva verso destra, la strada torna a scendere, stavolta definitivamente, mentre una bassa luce calda e contraria m’accoglie e mi fa capire che è tardi ma che ci siamo: l’altopiano del Cansiglio finalmente è sotto i miei piedi! Mi porto velocemente verso il centro percorrendo la strada rettilinea che lo taglia in due, fino al bivio dove a sinistra seguo le indicazioni per l’agriturismo Filippon, una bella e accogliente struttura a conduzione familiare presso la quale ho voluto concludere in bellezza questa grandiosa esperienza cicloturistica, concedendomi in regalo il “lusso” di dormire in un vero letto :-)


Martedì 17 ottobre 2017                                    Consulta la mappa e scarica la traccia (previa donazione)

PIAN CANSIGLIO (Treviso - Veneto) - CONEGLIANO (Treviso - Veneto)

33 km  132D+  1071D- (dati da altimetro barometrico)

Come potete immaginare la nottata appena trascorsa è stata ben gradita, ma ancor di più lo sarà la colazione che mi accingo a consumare. Una tavola imbandita di marmellate e squisiti dolcetti e torte fatte in casa oltre che da un assaggio di tre tipi di formaggio, ovviamente anch’essi prodotti da loro, col latte delle loro mucche. Mi sarei voluto finire tutto ma non potevo sennò chi avrebbe pedalato?! Comunque non potevo chiedere di più, è stata una colazione abbondante e deliziosa, il giusto modo per mettersi in marcia e addolcire un po’ quel senso di nostalgia che già emergeva in me. Di questa breve tappa c’è poco da raccontare se non che ho attraversato frettolosamente luoghi e paesi per arrivare giusto giusto alla stazione FS di Conegliano e riuscire a prendere il treno che con altrettante sette ore mi avrebbe condotto a casa, stavolta con coincidenze decisamente meno frenetiche.

E’ stata una settimana impegnativa perchè fare i passi dolomitici con una bicicletta carica non è qualcosa di scontato, ma esserci riuscito m’ha dato una certa carica e una buona motivazione, facendomi credere che in futuro potrò cimentarmi in altri tour simili. Sicuramente aver avuto una settimana intera di tempo soleggiato e tutto sommato mite per la stagione ha agevolato molto lo svolgimento e la realizzazione; con la pioggia sarebbe stato tutto più complicato e snervante, oltre che pericoloso. Le Dolomiti hanno un fascino indiscutibile, purtroppo a mio parere un po’ troppo deturpato dai troppi impianti scioviari che lo ingabbiano, e visitarle in bici è stata un’esperienza appagante e per me insolita, visto che solitamente le montagne le cammino. Per chi non le ha ancora visitate e fa del cicloturismo la propria vocazione, credo sia davvero un bel modo per viverle ed apprezzarle; sicuramente molto meglio che girarle in sella ad una moto o, peggio, a bordo di un’auto. Mi auguro che questa mia esperienza e questo racconto possano contribuire a far suscitare interesse e desiderio nel progettare viaggi simili.



TORNA SU

Se ti è piaciuto condividi il racconto


IL REPORTAGE FOTOGRAFICO DEL TOUR

(clicca le immagini per vedere l’album)