La proposta di esser suo compagno di viaggio fu accolta da chi vi scrive con un certo
piacere nonché entusiasmo, quest’ultimo però quasi subito smontato dalle info reperite
in Rete riguardo alle caratteristiche del percorso in questione che, a detta di molti,
risultava poco adatto a biciclette che non fossero MTB (le nostre sono sostanzialmente
bici gravel/ibrida: una Crossrip della Trex e una Fargo di Salsa): il tracciato in
effetti prevede il frequente attraversamento di piste e sterrate sulle quali ci si
potrebbe trovare in difficoltà con bici poco adatte, con il rischio non troppo remoto
di forature e/o rotture.
Non nascondo che all’inizio la delusione del dover accantonare questo viaggio ha
preso il sopravvento, facendomi necessariamente guardare altrove per la mia vacanza
(Alpi). Ma poi, a circa un mese dalle ferie, Mattia torna alla ribalta con la seria
intenzione di tentare questo itinerario e di volermi al suo fianco.
Da questo ulteriore stimolo nasce il progetto del Tratturo Magno “a modo nostro”:
una rivisitazione sostanziale del percorso originale con un tracciato decisamente
più consono alle nostre bici che, in qualche modo, ricalcasse comunque lo spirito
del Tratturo, ovvero l’andar dai monti al mare (o viceversa) come facevano i pastori
e i mandriani quando dai pascoli appenninici facevano ritorno a valle alle loro case,
ad inizio autunno.
Ci volle un po’ per mettere assieme tutte le pedine e definire un percorso di più
giorni (massimo nove a disposizione) che coniugasse sia questo spirito che il desiderio
personale di visitare con la bici quasi tutti i principali gruppi montuosi del Centro
Italia. Alla fine lo studio ha dato buon esito e, anche a detta del compagno d’avventura,
il risultato ottenuto ci è sembrato un ottimo compromesso rispetto all’idea originaria…anche
piuttosto esaltante! Addirittura forse troppo esaltante, a tal punto che, analizzando
ogni singola tappa, a posteri ci siamo resi conto che forse questo tour era un po’
troppo per le nostre gambe, per dei neofiti come noi. Ma forse è stato grazie anche
all’incoscienza di questo approccio un po’ da “matricole” che abbiamo deciso comunque
di avallare il progetto e realizzarlo.
Inizialmente il progetto era il seguente: andare da L’Aquila al Gargano in nove giorni,
attraversando sei Regioni e i gruppi montuosi del Gran Sasso, Velino-Sirente, Majella,
Parco Nazionale d’Abruzzo, Monti della Meta e Monti del Matese. Purtroppo però, al
momento di verificare gli orari dei treni (ce ne siamo serviti per spostarci dalle
nostre abitazioni al punto di partenza e per il rientro a fine giro), ci siamo accorti
che in estate Trenitalia sopprime le corse Terni-L’Aquila, ovvero esse vengono sostituite
con dei bus di linea, con tutto quello che implica per il trasporto bici (caricarle
nel bagagliaio del bus, sempre che il conducente non faccia storie, col rischio di
qualche danneggiamento a causa dei sballottamenti). Alla fine la conseguenza di tutto
ciò?…abbiamo tolto una tappa (Velino-Sirente) e sostituita con quella che ci avrebbe
fatto partire da Terni anziché L’Aquila. Alla fine questa tappa risulterà essere
la più lunga nonché la più faticosa del tour.
Alla vigilia del giorno della partenza le ore pomeridiane trascorrono velocemente
mentre si tenta di far mente locale e di disporre in bella vista (per evitare di
dimenticare qualche pezzo importante!) tutto il materiale che abbiamo deciso di portare,
visto che per questo nostro primo tour abbiamo deciso di viaggiare low-cost, prevedendo
il più possibile l’utilizzo di tenda e fornello per essere autonomi e liberi anche
da ogni vincolo di orario. L’assetto da viaggio ha previsto: per Mattia il classico
set fronte-retro di portapacchi+borse; per me il set da bikepacking con borse su
manubrio, sella e telaio (questa scelta alla fine si rivelerà per certi versi scomoda,
oltre che pericolosa, perchè parte della zavorra era fissata con delle cinghie anche
sopra il manubrio e il risultato è stato il doversi fermare svariate volte per rifissare
meglio il tutto). La zavorra di ciascuno era composta da: una tenda MSR biposto (gentilmente
portata da Mattia), sacco a pelo e stuoino, set cucina (fornelletto + 2 bombole gas,
pentolino tuttofare, cucchiaio, accendino), borracce (per un’autonomia giornaliera
di circa 2 lt.), vestiario di ricambio (sia per il viaggio che per la sera), antivento/antipioggia,
piumino/pile, piccolo beauty-case, un po’ di cibo energetico non deperibile (barrette,
frutta secca, miele…), power bank per ricarica degli apparati elettronici (smartphone
e fotocamera). Considerando anche il peso della bici, alla fine credo che ognuno
di noi abbia pedalato con circa 20-22 kg! Non poco, credetemi, specie quando si deve
salire su rampe lunghe e in buona pendenza (e di salita ne abbiamo avuta davvero
tanta!).
Si parte! Ore 5 di sabato 5 agosto: carichiamo le bici sul treno regionale che ci
condurrà fino alla stazione di Terni da dove prenderà il via quest’avventura, per
noi enorme e faticosa. che si rivelerà sorprendente ed entusiasmante.
Sabato 5 agosto 2017 Consulta la mappa e
scarica la traccia (previa donazione)
TERNI (Umbria) - PASSO DELLE CAPANNELLE (L’Aquila - Abruzzo)
107 km 2200D+ 907D-
Il tappone! Così lo abbiamo battezzato visto che, come già detto, alla fine risulterà
la tappa più impegnativa (almeno sulla carta). Climaticamente ci siamo trovati ad
affrontare il tour durante quella che sarà definita una delle estati più calde degli
ultimi anni, con temperature sempre spesso over 35. Per nostra fortuna però, considerando
la tipologia di percorso, il caldo forte l’abbiamo subìto e sofferto solo in quei
brevi tratti in cui ci trovavamo nei fondovalle perchè poi sopra i 1000 metri di
altitudine le cose andavano comunque meglio: aria più respirabile e secca. Dal punto
di vista dei rifornimenti idrici non abbiamo avuto alcun problema (eccetto l’ultima
tappa) perchè fortunatamente di fontane ne abbiamo sempre trovate a sufficienza e
ben dislocate, utili anche a farci fare delle “docce” rinfrescanti. Partiti dalla
stazione ferroviaria di Terni e superata in piano la città in direzione lago di Piediluco,
il percorso s’è impennato subito per portarci sulle sponde del citato lago. La salita
era su pendenze modeste e pedalabili oltre che di breve durata. Infatti senza eccessiva
fatica (se si trascura quella fatta su un tratto al 15% intrapreso per sbaglio!)
Abbiamo raggiunto Piediluco e il suo bel lago. Dopo un tratto di qualche chilometro
pianeggiante, si è tornati a salire agevolmente per 2-3 chilometri per scollinare
sul piccolo ma sorprendentemente animato paese di Colli sul Velino, dove ci siamo
gustati la prima merenda casereccia: un panino con buon pecorino locale e prosciutto
crudo. Ripartiti siamo scesi rapidamente nell’ampio altopiano dov’è posta Rieti,
entrando così ufficialmente nel Lazio. Nel lungo tratto pianeggiante e poco trafficato
prima di raggiungere la città ci siamo gustati a sinistra il panorama sul gruppo
del Terminillo (un po’ offuscato a dir la verità per colpa del caldo afoso) . Superata
Rieti ci si deve necessariamente immettere su una strada ad alto scorrimento: la
SS4 Salaria. Però, grazie a diversi chilometri su banchina transitabile e all’orario
del nostro transito (ora di pranzo), siamo riusciti a superare al meglio questo tratto
critico che ci avrebbe portato ad Antrodoco e quindi all’inizio della prima vera
salita di giornata: quella che in circa 13 km su pendenze ragionevoli ci avrebbe
by-passati dal Lazio all’Abruzzo attraverso il valico stradale della Sella di Corno,
a 1000 metri di altitudine. Un passo indietro, torniamo per un attimo al tratto di
strada che conduce ad Antrodoco. Dovete sapere (per chi ovvviamente non lo sa) che
lungo questa strada si trovano le antiche Terme di Cotilia. Qualcuno dirà: “ E cosa
ce ne importa??” Beh…sappiate che, oltre a poter far visita al vecchio impianto termale
romano, o addirittura di fruire del moderno impianto termale, a bordo strada, accanto
a degli stuzzicanti chioschetti, sgorga gratuitamente da ben cinque fontane l’acqua
termale dall’odore alquanto sgradevole (la classica puzza di uova marce) ma dal gusto
frizzante e fresco che - credetemi - dopo una pedalata è ciò che di meglio si possa
desiderare. Io già sapevo della sua esistenza (ero già passato di lì in altre occasioni)
ma per Mattia è stata davvero una piacevole sorpresa. Non capita infatti tutti i
giorni di bere da una fontana pubblica dell’acqua che somiglia alla Lete per intenderci.
Dopo questa bella dissetata abbiamo ripreso con più brio il nostro viaggio. Dicevamo
della salita per la Sella del Corno…l’abbiamo affrontata nelle ore più calde però
non l’abbiamo patito molto perchè l’aria era sufficientemente secca e leggermente
mossa. La salita presentava solo brevi tratti con pendenze forse superiori all’8%,
per il resto è risultata pedalabile anche se lunga. La strada si snoda lungo una
vallata poco sinuosa (qui transita anche la ferrovia che conduce a L’Aquila) che
in alto si schiude in una sorta di altipiano, rendendo il paesaggio gradevole e arioso.
Dopo la breve sosta presso una fontana ubicata in un’area camper (nella quale siamo
stati presi letteralmente d’assalto da alcuni bambini e ragazzini che si trovavano
lì e che, incuriositi e anche un po’ sorpresi, c’hanno fatto mille domande, dimostrandoci
un vero e sano interesse…oltre al darci dei pazzi!), s’è iniziata la bella e veloce
discesa su fondo stradale ottimo che ci avrebbe condotti ai margini della conca aquilana,
nei pressi di Scoppito (uno dei paesi duramente colpiti dal forte terremoto dell’aprile
2009), dove abbiamo effettuato una sosta presso un supermercato per rimpinguare
le nostre scorte di cibo (fondamentalmente frutta) e per fare uno spuntino che ci
sarebbe servito per affrontare l’ultima e più dura salita di questa giornata: quella
che ci avrebbe condotti al passo delle Capannelle e, più sù, ai 1445 metri di altitudine
del punto esatto del primo bivacco spartano. Quando riprendiamo a pedalare erano
ormai le 17.40 ma quì faceva davvero caldo e non è stato immediato il rimettersi
in moto, anche perchè cominciavamo ad essere stanchi e un po’ di preoccupazione pervadeva
le nostre menti riguardo all’ascesa di quasi 17 chilometri. Ma l’esser in due è un
vantaggio anche per queste situazioni: ti permette di riattingere forza e determinazione
dal tuo compagno quando ti senti scarico e poco motivato. E di forza e determinazione
il giovane Mattia ne ha avuta da vendere! Il primo tratto della salita è stato piuttosto
agevole; alcuni strappetti con pendenze intorno al 8-9% li abbiamo trovati invece
nella parte centrale e finale dell’ascesa fino al passo. Intanto, finalmente, le
ombre del bosco che ci circonda e l’aria meno calda della quota raggiunta cominciavano
a farci star bene, oltre a gradire la scarsa presenza di mezzi motorizzati su questa
che, fino a che non venne aperto il tunnel del Gran Sasso, fu la vecchia statale
che collegava Teramo a L’Aquila: una strada piuttosto lunga e con tantissime curve!
Non oso pensare quanto tempo s’impiegasse per percorrerla dovendosi necessariamente
spostare tra le due province. Intanto dopo circa 2 ore raggiungiamo il cartello del
passo e in breve anche il bivio che a destra ci avrebbe portato al punto del bivacco.
E il bello venina proprio ora perchè, dopo essersi divorati tanti chilometri di ascesa,
ora ci sarebbe toccato il tratto più duro di salita con circa tre chilometri nei
quali le pendenze, in alcuni punti, raggiungono e superano il 10%. Beh…inutile dire
che eravamo stanchini (usando un’eufemismo) ma, se volevamo adagiare le nostre membra
in un luogo sicuro e soprattutto con la garanzia dell’acqua, l’arresa in questo istante
non poteva di fatto impossessarsi delle nostre menti. Quindi senza indugio e senza
neanche sostare abbiamo affrontato queste micidiali rampe, mentre inseguivamo le
ultime luci del sole che velocemente se ne andava più in alto sui pendii dinnanzi
a noi. Fatica sì ma anche il bello di essere in questi luoghi da soli e nella quiete
pressoché totale, ammirando il paesaggio rivestito di una luce calda e rincuorante,
pregustando il nostro primo giaciglio che all’improvviso ci si schiuse dinnanzi.
Era fatta!!
Domenica 6 agosto 2017 Consulta la mappa e scarica
la traccia (previa donazione)
PASSO DELLE CAPANNELLE (AQ - Abruzzo) - FONTE VETICA (L’Aquila - Abruzzo)
48 km 987D+ 836D-
Nonostante il tappone del giorno prima e la difficoltà personale a prender sonno
in questi contesti, il risveglio è stato tutt’altro che traumatico: esso è stato
coccolato ed accompagnato dal tintinnio dei campanacci delle mucche che pascolavano
nei dintorni. E ce la siamo anche presa comoda sapendo che la tappa odierna sarebbe
stata breve e relativamente poco impegnativa. Essa infatti prevedeva una bella e
lunga discesa iniziale piuttosto scorrevole (anche se con molte curve e qualche tornante)
fino alla località di Fonte Cerreto, punto di partenza della nota funivia per Campo
Imperatore dove si trovano anche alcuni chioschetti e una bella fontana d’acqua.
Da quì ha invece inizio la lunga salita (650 metri di dislivello per 13 km) per l’altopiano
di Campo Imperatore che, con pochi e brevi strappi più impegnativi (pendenze intorno
al 9-10%), solca l’ameno paesaggio fatto di ondulati colli e di dolci vallette che,
tra scorci e belle vedute sulle montagne che man mano si vanno schiudendo, t’accompagnano
fino al punto massimo identificato con il valico di Montecristo, quota 1765 metri
(risulterà essere il punto di transito più elevato di tutto il tour), che per noi
ha rappresentato una sorta di G.P.M. C’è da dire che la fatica dell’ascesa è stata
accentuata, e soprattutto resa molto nervosa, dall’intenso traffico motorizzato in
cui siamo incappati: un via-vai pressoché continuo di auto, camper ma soprattutto
di moto che con il loro fastidioso rombo (pur salendo sfrecciavano a gran velocità
e con manovre pericolose e comportamenti poco rispettosi) ci hanno indispettito ed
hanno reso la salita un mezzo Inferno. Peccato perchè eravamo consci del bello che
avevamo attorno ma ce lo siamo goduto poco. Una volta giunti sul valico, dopo la
meritata foto di rito, non dovevamo far altro che scendere velocemente per un breve
tratto fino a raggiungere il fantastico altopiano di Campo Imperatore, un luogo giustamente
soprannominato il “piccolo Tibet” perchè le sensazioni che ti dà sono quelle dei
grandi spazi incontaminati dove gli orizzonti lontani sono composti dalla silouette
delle grandi montagne. Se non ci sei mai stato dovresti visitarlo almeno una volta
per renderti conto di persona dell’unicità e della bellezza di questo luogo tutto
appenninico. Il prosieguo della giornata è decisamente soft: ci siamo concessi una
breve digressione verso il laghetto di Pietranzoni (purtroppo piuttosto asciutto
vista la torrida stagione) dal quale si ha una pittoresca vista sulla parte finale
dell’altopiano sopra il quale si erge in tutta la sua possenza il Corno Grande, la
montagna più alta di tutto l’Appennino (2912 mt.). Un breve spuntino con frutta secca
e si è tornati a pedalare, dapprima in discesa su fondo a tratti sconnesso (fare
attenzione alle buche!) e poi in piano, percorrendo l’altopiano in tutta la sua lunghezza,
verso sud-est, lasciandoci ammaliare dalla bellezza del paesaggio che mutava lentamente
per via delle distanze e delle proporzioni: sulla nostra sinistra scorreva tutta
la dorsale principale del Gran Sasso con le sue vette principali (monte Brancastello,
Torri di Casanova, monte Infornace, monte Prena e monte Camicia), mentre sul lato
destro l’orizzonte era decisamente più dolce, fatto di colli e di vallecole, dominato
più avanti dalla mole allungata del monte Bolza. Dopo questo tratto la strada è tornata
a salire brevemente, in concomitanza di un r estringimento ad imbuto: siamo infatti
all’imbocco del poco noto, ma meritevole di visita, canyon dello Scoppaturo, famoso
per essere stato location di diversi film western, tra cui “Continuavano a chiamarlo
Trinità”. Non ci soffermiamo ma proseguiamo scendendo su un dritto molto veloce che
anticipa un altro luogo diventato ormai simbolo di questo altopiano: i chioschi dove
si gustano i famosi arrosticini di castrato. Mattia si fa subito catturare dall’odore
invitante ed invoglia anche me a sostare per questo break tardo-pomeridiano. Ovviamente
non siamo soli: un variopinto popolo dei soliti motociclisti e di gitanti della domenica
s’attardano ai tavolini per gustare questa prelibatezza. Purtroppo c’è da riportare
anche un grave fatto accaduto quì e di cui siamo stati testimoni oculari: il grosso
incendio che dal giorno prima ha devastato molti ettari di prateria e di bosco e
che con tutta probabilità è stato innescato dall’incuria di un gruppo di persone
che stavano facendo un barbecue durante la 58^ Rassegna degli Ovini, manifestazione
che aveva radunato ben 30.000 persone! L’incendio dal versante aquilano si è esteso
anche a quello pescarese, divorando ettari ed ettari di bosco di pino e di faggio.
E’ stato davvero triste e doloroso trovarsi impotenti di fronte a questo “spettacolo”,
specie sapendo che tutto ciò era stato causato dalla leggerezza di persone che non
hanno rispettato le normali regole di buon senso quando si tratta di accendere fuochi
in natura, in zone ad alto rischio d’incendio (l’erba dei prati era totalmente secca
per via della siccità e spirava anche un forte vento caldo). Nonostante la situazione,
abbiamo voluto mantenere il posto tappa che avevamo predefinito e quindi siamo saliti
a Fonte Vetica perchè lì avremmo trovato acqua, oltre a un luogo adatto per bivaccare.
E’ un posto dove normalmente è facile trovare diversi gruppi di persone che sostano
in tenda (oltretutto nelle vicinanze c’è l’unico rifugio gestito, il Fonte Vetica),
ma stavolta ci siamo trovati soli, probabilmente per il fatto che il giorno prima
le Forze dell’Ordine avevano provveduto a far evacuare tutti per ragioni di sicurezza.
Da un lato è stato un bene, così avevamo la facoltà di scelta del posto migliore
dove dormire; dall’altro mi ha fatto piuttosto strano ritrovarmi nel silenzio, abituato
com’ero ad incontrare sempre parecchie persone. Oltre che per la presenza della Luna
piena, la notte è rimasta accesa anche a causa dell’incendio che ormai rimaneva confinato
sul crinale e sul lato pescarese a noi nascosto. L’odore acre di quanto stava avvenendo
ha aleggiato a tratti per tutta la notte, facendo un po’ da spia d’allarme e mantenendomi
spesso vigile. Diversamente l’amico Mattia ha approfittato della quiete surreale
per farsi una gran bella dormita, invidiatissima dal sottoscritto!
Lunedì 7 agosto 2017 Consulta la mappa e scarica
la traccia (previa donazione)
FONTE VETICA (L’Aquila - Abruzzo) - loc. SAN NICOLAO (Pescara - Abruzzo)
87 km 1313D+ 2121D-
Il mio risveglio, come spesso capita in queste occasioni, è di buon ora, prima dell’alba.
E stavolta devo ammettere che è stato un po’ più traumatico viste le pochissime ore
riposate la notte precedente. Reggerò sette giorni con questo andazzo??… Mentre Mattia,
come al solito, prosegue indisturbato il suo sonno, io approfitto per allontanarmi
e fare qualche scatto nei paraggi. L’incendio di crinale sembra diminuito ma un gran
fumo continua ad aleggiare sul lato pescarese, facendomi dedurre che dall’altra parte
le cose non siano affatto sotto controllo. Nel frattempo le montagne e l’altopiano
prendono forma e colore e questo mi rinfranca e mi distende un po’. Sono scene già
vissute altre volte ma ogni occasione è buona per rinnovare piacevoli sensazioni
che solo certi luoghi sono capaci di evocare. Rientro alla base e il compagno d’avventura
se ne sta ancora accasciato a terra nel suo buon sacco a pelo…ma come fa a dormire
così tanto?!…la mia ovviamente era tutta invidia! Inizio il rito della preparazione
della colazione: bollitura dell’acqua per il nostro consueto thé verde dove inzupperemo
dei frollini integrali, non prima di aver gustato della frutta fresca (in genere
kiwi o pere) acquistata il giorno prima a Fonte Cerreto. Mentre Mattia finalmente
schiude gli occhi iniziano ad arrivare alcuni escursionisti pronti a salire qualche
vetta dei paraggi. Dopo la toilette e il nostro consueto lento riassettaggio della
zavorra in bici, iniziamo questa terza giornata riattraversando parte dell’altopiano
percorso ieri, godendoci l’aria pulita e - finalmente! - l’assenza di mezzi motorizzati,
oltre che degli spazi immensi che questo luogo offre. E’ davvero un piacere pedalare
quì, ti senti piccolo e libero. Voltiamo a sinistra e prendiamo la strada che, passando
davanti al rifugio Racollo, sale dolcemente per un centinaio di metri di dislivello
per valicare le modeste ondulazioni che delimitano il versante sud-occidentale dell’altopiano.
Anche quì è d’obbligo uno scatto, la vista sull’altopiano, il Corno Grande e tutta
la dorsale sud-orientale del Gran Sasso è davvero notevole! Ora ci attendeva una
discesa interminabile, fatta inizialmente anche di lunghi tornanti e alcuni tratti
in buona pendenza, la quale ci avrebbe condotto dapprima al bel borgo di Santo Stefano
in Sessanio, poi a Calascio (famoso per la sua inconfondibile rocca) e giù, per tanti
chilometri e metri di dislivello fino a toccare il punto più basso nella valle del
fiume Pescara. Le stradine percorse per arrivare fino a quì erano pressoché deserte
e con il fondo quasi sempre buono (qualche buca ogni tanto ci sta), il che ha agevolato
parecchio il rimanere concentrati durante tutta l’azione visto che, comunque, la
discesa può diventare facilmente occasione di insidie e di cadute. Una volta a valle,
intorno all’ora di pranzo, appurata la differenza di temperatura con 1300 metri di
dislivello fa, ci siamo diretti velocemente verso est (direzione mare) lungo la SS5,
in compagnia stavolta di auto e camion. Per fortuna non sono stati troppi i chilometri
che abbiamo dovuto percorrere su questa strada; infatti all’altezza di Tocco da Casauria
la abbandoniamo per iniziare a salire verso la destinazione di giornata: Caramanico
Terme e più precisamente la sua frazione San Nicolao dov’era ubicato il primo camping
presso cui abbiamo dormito. Prima di raggiungere la nota località turistico-termale
del Parco Nazionale della Majella (e sì…oggi abbiamo abbandonato quello del Gran
Sasso, pur rimanendo in Abruzzo) abbiamo dovuto affrontare tre salitine e tre consequenziali
discese che, seppur brevi e non particolarmente ripide, hanno messo un po’ alla prova
la resistenza psicologica. Il tutto però è avvenuto in un contesto di assoluta tranquillità
perchè le stradine secondarie percorse, anche in questo caso, erano pressoché deserte.
Nel frattempo il cielo si fece nuvoloso, oscurando la vista sulle montagne circostanti;
ci poteva scappare il piovasco ma invece è andata bene e abbiamo raggiunto asciutti
(sudore escluso) Caramanico. Quì un’altra piacevole e golosa sorpresa, dopo quella
delle acque termali di Cotilia, attendeva il prode compagno d’avventura Mattia: un
gelato artigianale molto speciale che avevo già avuto il piacere di scoprire e di
gustare: quello della gelateria Dolc’é, ubicata in fondo (salendo) al corso del paese.
Oltre ad essere davvero buono, la gelateria offre gusti particolari e sfiziosi…assolutamente
da provare! Abbiamo approfittato della sosta golosa anche per rimpinguare un po’
le nostre provviste (frutta fresca in primis ma anche biscotti e tarallini), prima
di ripartire ed affrontare l’ultimo tratto di salita che ci separava dal camping
e che già sapevamo essere il più devastante: tre chilometri in cui le pendenze restavano
costantemente sull’ordine del 10-13%. Come puoi intuire l’arrivo al camping è stato
alquanto sofferto ma per fortuna ad accoglierci c’era Nicola che con cordialità ci
ha mostrato i servizi del camping e il nostro punto tenda. Em…ma quale tenda!…ormai
eravamo talmente abituati alla spartanità che anche questa notte l’abbiamo trascorsa
così :) —–––––––>
Martedì 8 agosto 2017 Consulta la mappa e scarica
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loc. SAN NICOLAO (Pescara - Abruzzo) - LAGO DI SCANNO (L’Aquila - Abruzzo)
63 km 1431D+ 1296D-
Senza soffermarsi ancora una volta sulla diatriba “Mattia dome come un ghiro, Marco
no”, dopo essermi alzato nuovamente di buon ora per gustare le prime luci sulle montagne
attorno (almeno a qualcosa serve il non dormire!), aver consumato la nostra solita
colazione di frutta fresca, thé e biscotti, aver salutato il gestore Nicola e una
gradevole e simpatica coppia di giovani fidanzati milanesi con i quali abbiamo fatto
conoscenza la sera prima (anch’essi a modo loro stavano svolgendo una vacanza itinerante,
in auto, molto improvvisata riguardo le mete), siamo ripartiti per affrontare, dopo
una breve ma veloce - e bucherellata - discesa, la salita che ci avrebbe condotti
all’arioso valico di San Leonardo, punto di partenza per varie escursioni a piedi,
nonché piccola località sciistica con annesso albergo. Anche in questo caso la salita
era piuttosto lunga (circa 15 km) ma non presentava pendenze eccessive, anzi, è risultata
quasi sempre pedalabile oltre che scarsamente trafficata, agevolandoci la progressione
e il gusto per lo sforzo, dandoci la possibilità di distrarci col panorama circostante.
Abbiamo attraversato il piccolo paese di Sant’Eufemia a Majella mentre, più in alto,
con una digressione di soli 5 km a/r è stato possibile raggiungere il caratteristico
borgo di Roccacaramanico, arroccato su un poggio in bella vista e completamente ristrutturato;
valgono la pena i pochi chilometri in più. Rientrati al bivio abbiamo proseguito
sugli ultimi 6 km di salita e con poca fatica eravamo al passo stradale. Abbiamo
approfittato per bere e mangiare un po’ di frutta secca e qualche barretta, oltre
a spalmarci la benedetta crema solare (chi vi scrive infatti è riuscito a procurarsi
una “gran bella” abbronzatura/scottatura a strisce!). Ripartiti ci attendeva un’altra
lunga discesa, anche piuttosto ripida nel suo tratto centrale e finale (alla fine
con Mattia siamo stati concordi e soddisfatti nell’aver salito il passo dal versante
in cui l’abbiamo fatto perchè altrimenti sarebbe stato un suicidio!); La destinazione
era Pacentro, famoso e suggestivo borgo arroccato su un poggio posto alle pendici
meridionali del monte Mileto. Dopo l’ultima curva c’è apparso davanti in tutta la
sua bellezza, posto in bella vista sulla conca di Sulmona, con la sua forma slanciata
e le due caratteristiche torri. Come non fermarsi per una visita?…e così abbiamo
fatto. Anzi…ti dirò di più: vista l’ora e il gran caldo che già vedevamo regnare
nel fondovalle, abbiamo all’unanimità deciso per una lauta sosta pranzo, deliziandoci
presso l’unico (forse?) locale aperto: il Majella (e come poteva chiamarsi diversamente!),
un delizioso piccolo ristorante/pizzeria prossimo alla piazzetta centrale del paese,
nel quale abbiamo trovato innanzitutto una gran cordialità ma anche un ottimo servizio
e del buon cibo ad un prezzo ragionevole. Assolutamente consigliato! Abbiamo indugiato
a sufficienza tant’è che il buon pranzetto non ci è stato da stimolo nel ripartire,
anzi!…ma dovevamo farlo, anche perchè di strada da fare ancora ce n’era (per l’esattezza
44 km). Consapevoli di dover affrontare un gran caldo, abbiamo iniziato la breve
discesa ed il successivo tratto di pianura che ci ha condotto nella città di Sulmona,
famosa per i suoi confetti ma probabilmente anche bella da visitare; ma ne usciamo
piuttosto rapidamente, dopo un rifornimento idrico e una brevissima sosta ad un supermercato.
Da quì è iniziata la parte più “soffocante” del percorso, quella sulla SR479, già
bella infuocata, dove una di quelle salite-non salite c’ha indotto a spingere e sudare
per far velocità rendendoci conto che la pendenza, seppur modesta, non lo consentiva;
il classico falsopiano a salire che ti stronca! Rassegnati al caldo “stile phon”
ed alla velocità ridotta, proseguiamo, tra una bevuta e l’altra, sperando di trovar
presto la possibilità di rinfrescarci. E qualcuno c’ha ascoltati perchè ecco che
pochi chilometri prima di Anversa degli Abruzzi, una delle porte di accesso al PNALM
(Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise), spunta una miracolosa fontana a margine
della strada, in un luogo in cui non te l’aspetti. Approfittiamo per rimboccare le
borracce ma anche per darci la solita rinfrescata a testa, braccia e gambe. Eravamo
finalmente entrati in valle e, sarà per la vicinanza con il fiume Sagittario e per
le piante che ci circondava, ma il clima c’è sembrato sensibilmente migliore. Questo
ci fu d’aiuto nel raggiungere quest’altro bel paese abruzzese, Anversa appunto, anch’esso
arroccato su un’altura, posto all’imbocco delle altrettanto belle e suggestive Gole
del Sagittario che ci siamo accinti a percorrere ormai all’ombra delle montagne.
Il primo tratto, appena oltre il paese, è sicuramente il più entusiasmante: la strada
è abbarbicata sul costone roccioso della montagna, a picco sulle gole, e attraversa
un paio di brevi gallerie senza illuminazione e un caratteristico ponte. La strada
è in salita ma assolutamente pedalabile, il che ha reso gradevole anche la sosta
fotografica visto che per ripartire sui pedali non c’è stato bisogno di fare grandi
sforzi. Oltre questo tratto la strada era un leggero falsopiano in salita, muovendosi
placida e sinuosa nel fondovalle in parte ombreggiato, fino a tornare a salire nei
pressi del bel bacino artificiale di San Domenico. Peccato la luce non raggiungesse
più il fondovalle, l’ora era quella che era, altrimenti certi scatti sarebbero sicuramente
stati di maggior effetto. Ci attendeva un ultimo strappo più impegnativo per raggiungere
il bivio per Villalago, che abbiamo lasciato alla nostra destra, per proseguire in
falsopiano a scendere lungo la regionale che in breve raggiunge le sponde del bel
bacino artificiale del lago di Scanno. Anche questa era fatta, poche centinaia di
metri ci dividevano dal giaciglio del quarto giorno: il camping I Lupi, posto appena
sopra il lago sul lato sinistro orografico. Ce la farà il nostro eroe a farsi una
bella dormita?…
Mercoledì 9 agosto 2017 Consulta la mappa e scarica
la traccia (previa donazione)
LAGO DI SCANNO (L’Aquila - Abruzzo) - Loc. VALLE FIORITA (Campobasso - Molise)
59 km 1659D+ 1185D-
Probabilmente coadiuvato, oltre che dalla stanchezza accumulata fin quì, anche dalla
tranquillità di questo camping, finalmente chi vi scrive è riuscito a dormire qualche
ora…un successo!! E’ toccato festeggiare l’evento: thè verde e biscotti! Battute
a parte, oggi sarebbe stato tappone di montagna: nonostante i pochi chilometri da
percorrere, sono ben tre le salite che ci attendono, due delle quali (la prima e
l’ultima) rispettivamente di quasi 17 km e 10 km. La prima ci ha condotti velocemente
al famoso e caratteristico paese di Scanno che ci siamo trattenuti dal visitare per
non spezzare la salita. La breve sosta però ci ha consentito di far conoscenza con
Filomeno, un arzillo ciclista sulla settantina che c’ha raccontato dei suoi numerosi
giri e che stava anch’egli salendo per il suo consueto giro al passo Godi con sosta
bevuta/merenda al rifugio poco sotto il valico. Lo salutiamo, certi che lo avremmo
rivisto per strada mentre avrebbe fatto rientro in paese. Noi ci attardiamo qualche
minuto per la solita spalmata di crema solare e uno snack veloce. Riprendiamo a salire
notando che le pendenze erano abbordabili e l’aria asciutta e sufficientemente mitigata
dall’altitudine che andavamo guadagnando. A un certo punto siamo stati affiancati
da un ciclista di giornata, visto poco prima fermo ad un fontanile, il quale stranamente
non prosegue ma indugia a lungo con noi, aiutandoci a non pensare alla fatica, tant’è
che siamo riusciti a tenere una buona andatura senza neanche accorgercene. Purtroppo
non abbiamo chiesto il suo nome ma c’è rimasto impresso, oltre che per la sua simpatia
e loquacità, anche per la maglia indossata che contraddistingueva il gruppo ciclistico
dilettantistico di cui faceva parte: “Toghe in fuga”. Il tizio infatti era un avvocato
di Pescara con la seconda casa nelle vicinanze di Scanno e quindi gran conoscitore
di questi luoghi e dei giri in bici che si possono realizzare. C’ha fatto piacere
sig. Avvocato condividere con te quel tratto di salita e ci faceva piacere fartelo
sapere. Continuiamo da soli l’ultima parte dell’ascesa, anche questa fortunatamente
piuttosto sgombra di mezzi motorizzati, fino a raggiungere la sommità del passo Godi.
Una breve e veloce discesa conduce al pianoro dov’è ubicato l’albergo ed i piccoli
impianti scioviari di questa località. Senza sostare abbiamo iniziato la veloce e
bella discesa di 15 km che cala verso il paese di Villetta Barrea. Anche in questo
caso siamo stati ben felici di non aver scelto di salire al valico per questo versante
visto che le pendenze erano decisamente maggiori. Appena iniziata la discesa chi
sopraggiungeva al senso contrario?…proprio lui, Filomeno! Stavolta accompagnato da
una giovane ciclista bionda…hai capito Filomeno!! Lo salutiamo al volo e abbiamo
proseguito la nostra discesa. Mentre perdevamo quota s’avvertiva il cambiamento di
temperatura e questo ci faceva intuire che a valle l’aria non sarebbe stata delle
migliori. E in effetti, una volta raggiunto il paese, la supposizione venne avvalorata
dalla constatazione e pertanto, vista l’ora, abbiamo deciso di oziare da queste parti
per il pranzo, inserendoci anche una quarantina di minuti di pennichella vicino al
torrente, giusto per non ripartire nelle ore più calde. Questo ci ha permesso anche
l’incontro ravvicinato con un bell’esemplare di cervo maschio che, nonostante le
presenze umane e la vicinanza col paese, ha gironzolato un paio di volte nei pressi
del torrente. Ci armiamo di forza di volontà e decidiamo di ripartire, visto che
il primo tratto è comunque agevole perchè pianeggiante (costeggia sul lato orografico
destro il bacino artificiale del lago di Barrea). In fondo al lago si vedeva perfettamente
la nostra prossima destinazione, ovvero il paese di Barrea, posto in bellavista sull’omonimo
lago; lo abbiamo raggiunto dopo una breve e facile salita. Giusto una breve sosta
fotografica e siamo ripartiti, sempre in salita, per raggiungere il vicino valico
stradale che immette nell’alta val di Sangro. Una discesa di 7 km, agevole e poco
impegnativa, ci ha permesso di raggiungere il paese di Alfedena dal quale la strada
sarebbe tornata inesorabilmente a salire per portarci al nuovo giaciglio spartano
ma assolutamente affascinante previsto per questa quinta tappa: Valle Fiorita, posta
a 1400 metri di altitudine alla base dei Monti della Meta, stavolta in territorio
molisano. La strada per raggiungere questo bel posto ha il fondo in asfalto ma risulta
abbastanza rovinato in diversi punti, ma avendolo affrontato in salita non è stato
un gran problema. Di positivo invece ha che essa è quasi interamente circondata dal
bosco e che non transita quasi nessuno. L’abbiamo affrontata nel tardo pomeriggio,
quindi senza patire il caldo, raggiungendo la meta al tramonto. Altro posto suggestivo
che merita di essere visitato…parola di Mattia che direi ha apprezzato molto visto
l’entusiasmo con cui si è esibito in un lavaggio integrale presso la freschissima
fonte posta in loco…è un pazzo!! Comunque, nonostante l’ulteriore salita che ci siamo
dovuti fare, sono stato felice di scegliere questo posto perchè ha qualcosa di magico
e di attraente e ogni volta che ci torno è un po’ come sentirsi a casa: protetto
e al sicuro, avvolto da una natura meravigliosa fatta di faggete e di bei profili.
Per festeggiare questo quinto giorno di bici e la bellezza del posto ci siamo concessi
una cena altamente rigenerante: un’abbondante mix di legumi, uova sode (ben 6!),
tonno, pomodori, una grossa mozzarella locale e gli immancabili tarallini. Devo dire
che non ci ha creato alcun problema notturno. La presenza della Luna ha infine completato
il quadretto idilliaco di questa meravigliosa serata che abbiamo già incorniciato
come una tra le più belle del giro.
Giovedì 10 agosto 2017 Consulta la mappa e scarica
la traccia (previa donazione)
Loc. VALLE FIORITA (Campobasso - Molise) - LAGO DEL MATESE (Caserta - Campania)
81 km 1550D+ 1935D-
La magia e la serenità della sera/notte è proseguita con l’alba, quando una luce
tenue ma calda ha avvolto il paesaggio che ci circondava, dandoci il giusto buongiorno
(a me un po’ prima, a Mattia sempre dopo!). Come per la cena, stavolta anche la colazione
ha avuto la sua dose di abbondanza visto che ieri, a Villetta Barrea, c’eravamo preoccupati
di “spazzolare” un piccolo market, portando via, oltre alla squisita focaccia farcita
occorsa per il pranzo di ieri, dei fantastici e assortiti dolcetti tipici. T’assicuro
che non ne è andato sprecato neanche uno! E gli zuccheri ingurgitati non hanno avuto
vita lunga in corpo vista la tappa che ci attendeva e che, per varie ragioni, è risultata
essere forse la più indigesta per entrambe. Ma andiamo con ordine…eravamo alla lauta
colazione. Dopo esser stati raggiunti da mucche e cavalli che si sono abbeverati
alla fonte e da un signore col suo furgone, anch’egli venuto a fare il pieno di acqua
per i suoi animali perchè - diceva - a valle non se ne trovava per via della siccità,
abbiamo caricato le nostre bici e siamo partiti intorno alle 8.45. Abbiamo iniziato
la lunga discesa sul versante molisano che ci avrebbe condotti fino al paese di Pizzone
ma da subito capisco che c’era qualcosa che non andava: facevo fatica a manovrare
la bici, non riuscivo ad impostare le curve. Ho provato ad insistere per qualche
minuto ma, niente…chiedo a Mattia di fermarsi perchè era impossibile e pericoloso
proseguire, dovevo capire cosa fosse successo. Inizialmente pensai fosse a la zavorra
impacchettata malamente sopra il manubrio che in qualche modo impediva la sterzata;
ma fu Mattia invece ad accorgersi che il problema era altrove: nella ruota lo pneumatico
era sgonfio e io non me n’ero accorto! Ecco quà…avevo sicuramente bucato. Ma per
evitare di perdere tempo decisi di tentare con il semplice gonfiaggio, sperando che
il foro fosse piccolo e la camera d’aria tenesse per un po’. Ripartiti, la bici finalmente
sterzava a dovere e mi permise d’impostare correttamente le tante curve (anche tornanti)
che ci separano da Pizzone. Alla fine c’arriviamo e la bici sembrava tener bene.
Abbiamo proseguito, sempre scendendo, stavolta su strada meno ripida e senza curve
insidiose. Percorsi pochi chilometri sulla statale 158, l’abbiamo abbandonata al
bivio per Castel San Vincenzo; la strada quindi saliva per un paio di chilometri
fino al paese. Nel frattempo la giornata si era scaldata e il pensiero andò subito
all’acqua: “chissà se avremmo trovato fontane con la stessa frequenza dei giorni
passati?”. Abbiamo superato il piccolo paese e siamo scesi velocemente fino alle
sponde del bel bacino artificiale di Castel San Vicenzo, dove gli fa da cornice il
gruppo dei monti della Meta appena lasciati, portandoci sul lato opposto attraverso
lo sbarramento aperto al transito veicolare. In queste zone nessuno dei due è mai
transitato e quindi ci affidavamo necessariamente solo alla mappa stradale sullo
smartphone. All’incontro con una simpatica coppia di ciclisti “quasi locali” ci fu
stato indicato di seguire le indicazioni per il paese di Venafro, così saremmo arrivati
a valle senza errori. Abbiamo seguito il consiglio solo che, una volta a valle, abbiamo
continuato a seguire le indicazioni per questa località senza riconsultare la mappa
e quindi realizzando solo a posteri che avevamo allungato di qualche chilometro nella
direzione sbagliata rispetto a quella che avremmo dovuto seguire per raggiungere
l’area del Matese. Beh…meglio tardi che mai…dietro front! Cominciavamo ad essere
un po’ cotti dal sole e dal caldo, oltre che poco idratati (niente fontanelle da
quando eravamo partiti) e anche piuttosto affamati, quindi fare anche un chilometro
in più cominciava a dar fastidio. Tornati sulla retta via c’eravamo comunque imposti
di raggiungere almeno il non lontano paese di Monteroduni dove quindi avremmo sostato
per la consueta pausa pranzo. Per fortuna, all’inizio della salita, ci cadde l’occhio
su una fontanella posta in una traversa a destra. Sosta d’obbligo!…anche per refrigerarsi
testa e braccia. Grazie alla rinfrescata siamo riusciti a superare i tre chilometri
di salita (fortunatamente facile) che portava al paese menzionato che - sarà forse
per l’ora e per il caldo - abbiamo trovato piuttosto deserto. Ma almeno un minuto
market aperto siamo riusciti a trovarlo aperto, giusto quello che ci serviva per
rifocillare le nostre panze. Il gestore è risultato essere un tipo loquace ma soprattutto
decisamente lento (troppo!) nel servirci, tant’è che abbiamo trascorso dentro il
suo negozio la bellezza di mezz’ora solo per farci fare due grossi panini e per un
po’ di frutta. Probabilmente la voglia di chiacchierare con qualcuno, unita alla
curiosità indotta da due “stranieri” come noi, l’hanno un po’ esaltato oltre che
rallentato, anche se abbiamo nutrito seri dubbi riguardo a questa tesi. Allontanati
dal market ci appollaiamo su una panchina ombreggiata nella piccola piazzetta ubicata
nei paraggi. Alla fine chi vi scrive fece una fatica immonda nel terminare quel panino
(e infatti non sono riuscito a finirlo) che purtroppo sarebbe rimasto indigesto,
contribuendo ad elevare la fatica fatta sulla salitona che ci attendeva. Ore ore
centrali della giornata, il caldo si stava facendo sentire a gran voce. La voglia
di rimettersi in sella stavolta era davvero scarsa e nel mio caso accentuata anche
dalla sensazione che quel panino mi avrebbe reso la vita difficile. E così fu. Ripartiti,
subito sbagliamo strada e ci siamo ritrovati al cimitero. Peccato che per arrivarci
avevamo fatto una discesa che, seppure di poche centinaia di metri, era praticamente
un trampolino di lancio per il salto con gli sci! Non vi dico per risalirla che
faticaccia, con quel caldo, e partendo praticamente “ a freddo”. Va be’…alla fine
tutto si fa. Tornati sulla retta via, siamo saliti lungo la strada che in 17 interminabili
chilometri ci avrebbe condotti al paese di Gallo. Personalmente credo sia stata la
salita più faticosa del tour fatto fin quì, probabilmente per la difficoltà a digerire
quel panino, oltre che per colpa del caldo davvero intenso. Mattia lo vedevo più
pimpante. Del resto era lui il giovane del duo! Purtroppo salendo ci siamo accorti
che nella zona dov’eravamo passati poche ore prima s’era innescato un incendio che
si andava accrescendo vistosamente sotto i colpi di un vento caldo e teso da sud-ovest,
e che minacciava anche un paese. Non sappiamo come sia andata a finire perchè a un
certo punto la strada ha virato e non ci ha consentito più la visuale su quella zona.
Fatto sta che questa calda estate stava facendo strage di boschi dappertutto e non
potevamo che esserne molto rattristati e - personalmente - anche un piuttosto adirato
perchè l’idea che quasi tutti questi incendi fossero di natura colposa/dolosa era
più che una mera supposizione. Tornando alla nostra sofferta ascesa, finalmente abbiamo
raggiunto tratti di strada in cui gli alberi ci consolano con la loro ombra. La pendenza,
per quanto mai eccessiva, era diminuita ulteriormente e arrivammo finalmente a vedere
alcune case: ci trovavamo all’imbocco della piccola località di Villalago dove siamo
riusciti anche a darci una rinfrescata ad una fontanella. Praticamente la salita
era terminata e con brevi discese e falsipiani abbiamo successivamente raggiunto
piuttosto agilmente la località di Gallo (nella quale siamo stati capaci di perderci!)
e, di lì a breve, il suo bel lago. Siamo ufficialmente entrati in Campania, provincia
di Caserta. Peccato che da quì ci è toccato nuovamente salire, seppur per poco più
di due chilometri ma su buona pendenza, per raggiungere il prossimo paese, Letino.
Abbiamo aprofittato della terrazza panoramica sul lago Gallo e dell’adiacente giardino
pubblico con panchine per scendere dalla sella e mettere qualcosa nello stomaco prima
di ripartire per affrontare l’ultima parte di questa interminabile tappa. Ripartiti
con una bella discesona, subito è stata interrotta da un tratto di pianura che ci
ha aiutato a prendere il ritmo giusto di pedalata per affrontare il seguente breve
tratto di salita che ci avrebbe spalancato le porte ad un bel altopiano posto fra
le montagne. Siamo tra i Monti del Matese, lato campano, un gruppo montuoso non particolarmente
elevato (la cima più alta supera di poco i 2000 metri) e ricco di boschi, a cavallo
tra le province di Caserta e Campobasso (Campania e Molise). La pedalata s’è fatta
più rilassata, il tratto in piano non ci è dispiaciuto; oltretutto la strada era
poco trafficata e la luce calda del tardo pomeriggio abbelliva il paesaggio che ci
circondava, nonostante la stanchezza non c’ha aiutato ad assaporarlo a pieno. La
strada poi è tornata a salire con pendenza moderata per circa due chilometri, e fu
quì che mi accorsi dello strano distacco di Mattia. L’ho atteso all’apice della salita
e nel suo volto ho letto una certa sofferenza: purtroppo il fastidio al ginocchio
sinistro, già accusato sin dalla prima tappa (di cui ancora non v’avevo parlato)
e che fino ad ora era riuscito a tenere a bada, era diventato un dolore continuo
e decisamente poco sopportabile, a tal punto da costringerlo a pedalare quasi facendo
leva solo sulla gamba destra. Fui un po’ sorpreso dell’accaduto ma soprattutto molto
dispiaciuto per il compagno di viaggio che, nonostante avesse carattere e tenacia
da vendere, fu costretto a soccombere a questo incidente di percorso e a trarne le
dovute considerazioni per i giorni successivi, visto che la strada per la meta che
c’eravamo prefissi era ancora sufficientemente lunga e faticosa. Ma intanto dovevamo
arrivare al termine della giornata e quindi, dopo una breve sosta, siamo ripartiti
scendendo velocemente fino all’ampio altopiano dove era collocato il bel lago del
Matese. Abbiamo fatto alcuni chilometri in piano ad andatura lenta, per evitare sforzi
superflui, fino ad avvicinarci all’ultima salita: uno strappetto di altri due chilometri
che c’avrebbe condotti al valico nel bosco dov’era ubicato il rifugio Le Janare,
il giaciglio “comodo” per questa notte. Stringendo i denti e mettendoci tutto quello
spirito di abnegazione tipico di uno sportivo, Mattia, nonostante le sofferenze,
è riuscito a portare a termine questa tappa che comunque è stata piuttosto pesante
per entrambe. Ero contento anche perchè, vista la situazione, stasera ci trovavamo
ad alloggiare in un luogo con qualche comfort in più, senza il pensiero per i pasti,
oltre a poterci fare una gran bella doccia rigenerante. Eravamo capitati nel posto
migliore che ci potesse capitare: un alloggio ben gestito e ben curato, dove cordialità
e buon cibo sono stati abbondanti. Non vi dico infatti quanto ben di Dio ci si è
parato davanti all’ingresso nel bar del rifugio: una vetrina piena di torte e di
crostate succulente e tutte assolutamente preparate dal gestore! Già stavamo col
pensiero della colazione ma vi possiamo garantire che la cena che ci è stata servita
ce l’ha fatta un po’ dimenticare! E allora prendete appunti, altro posto in cui è
molto consigliato sostare. Con una piacevole chiacchierata con il compagno di viaggio,
al fresco dei tavolinetti esterni al rifugio, si è conclusa questa intensa giornata
che ci ha visto un po’ acciaccati e dispiaciuti ma comunque soddisfatti di quanto
fatto fin’ora.
Venerdì 11 agosto 2017 Consulta la mappa e scarica
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LAGO DEL MATESE (Caserta - Campania) - TERMOLI (Campobasso - Molise)
110 km 1269D+ 2272D-
Il buongiorno si vede dal mattino?…Mah…se diamo adito al detto e poi guardiamo fuori
la finestra, non si direbbe! Nuvole basse e un po’ di vento c’hanno fatto catapultare
nel bel mezzo dell’autunno nel giro di poche ore. Il meteo metteva schiarite dalla
mattinata e noi volevamo fidarci delle previsioni, una volta tanto. E Mattia?…le
sensazioni a freddo erano buone, non sembrava avvertire quel dolore del giorno precedente.
Una volta in sella avremmo avuto le conferme o la smentita. Incrociamo le dita. Il
meteo, come dicevo, non era invitante ma intanto c’era un qualcosa che ci distraeva
molto…e dovreste aver capito cosa…..la colazione! Siamo scesi in sala da pranzo,
certi di trovare una tavola imbandita con quello spettacolo visto ieri….e così fu!
Il gestore aveva già preparato marmellate e burro e prontamente arriva al nostro
tavolo con un bel piatto ricco di assaggi di quelle meravigliose torte pregustate
ieri con i soli occhi. Difficile raccontare l’esperienza culinaria vissuta; v’invito
quindi nuovamente a passare di qua per provare così capirete perchè quella mattina
ci siamo intrattenuti sufficientemente a lungo. Fatto il carico di zuccheri e grassi
eravamo quasi pronti per la partenza, mentre fuori il meteo non accennava a migliorare,
anche se di tanto in tanto qualche squarcio di luce in più si fece vivo. La prima
parte del percorso prevedeva qualche breve e facile salita, necessaria per scavalcare
i crini che ci separavano dal versante mare del Matese. Mattia non lamentava fastidi
particolari. Bene! Abbiamo raggiunto un incrocio proprio sul culmine della salita;
da quì sarebbe iniziata la lunga discesa che in 20 chilometri di buona strada scarsamente
trafficata ci avrebbe fatto raggiungere la valle e anche rimpiangere ciò che avevamo
appena lasciato alle spalle. E sì…perchè d’ora in poi la via per raggiungere il mare
sarebbe corsa per molti chilometri su strade ad alto scorrimento, con tutto quello
che implica. Per di più abbiamo anche fatto un errore andandoci a ficcare in una
sorta di tangenziale di Campobasso che prevedeva il superamento di una serie di gallerie
senza banchina transitabile. E’ anche vero che se si voleva arrivare al mare in giornata,
senza quindi spezzare la tappa in due, l’unica soluzione era appunto percorrere questa
tipologia di strade, altrimenti con le strade secondarie avremmo fatto il doppio
del dislivello e quasi il doppio dei chilometri. Com’è facile intuire, di foto in
questa tappa manco una; eravamo troppo concentrati su quanto d’insidioso avevamo
attorno (auto e camion). Dopo la sosta pranzo in un bar abbiamo ripreso il viaggio
percorrendo il lungo viadotto che attraversa per buona parte il bacino artificiale
di Guardialfiera che segna il confine di Regione tra Molise e Puglia. Non eravamo
più troppo distanti dal mare ma, proprio in questo tratto in discesa, Mattia è tornato
a distaccarsi e il pensiero andò subito all’infiammazione al ginocchio. Anche in
questo caso ha voluto proseguire, seppur a basso regime di pedalata, tenndo duro
per poter raggiungere finalmente la meta e quindi riposare un po’. Sono circa le
16 quando usciamo dal tormentone pericoloso delle statali e mettiamo piede nella
città turistica di Termoli. Il mare è davanti a noi! Nonostante le sofferenze, l’emozione
e la soddisfazione di avercela fatta si fanno strada nei nostri cuori, ripensando
ai singoli istanti che avevano composto questa indimenticabile avventura su due ruote
in viaggio nel Centro-sud d’Italia. E sì, perchè, anche se il cuore avrebbe desiderato
andar oltre e portare a termine il progetto iniziale, arrivando fino al Gargano,
il giorno seguente Mattia ha giustamente scelto di rinunciare di proseguire per evitare
di peggiorare lo stato di salute del ginocchio. Scelta assolutamente condivisa da
chi vi scrive e anche caldeggiata, perchè prima bisogna sempre salvaguardare la propria
salute. Oltretutto sin dalla partenza si era sempre detto che questo viaggio si sarebbe
fatto in due e pertanto se, per qualsiasi ragione uno dei due non avesse potuto proseguire,
il viaggio sarebbe terminato per entrambe, perchè questo era lo spirito.
Non ho il rimpianto della meta finale mancata, vivo dell’assoluto piacere di ciò
che per la prima volta ho potuto realizzare: un grandioso viaggio dal duplice valore,
esteriore ed interiore; quello che ci ha permesso di scoprire un’Italia ancora bella
ed affascinante nonostante gli acciacchi e i difetti di cui la stiamo rivestendo,
ma anche di comprendere che, in fondo, ciascuno dei suoi abitanti vive col desiderio
più o meno conscio di voler essere prossimo e solidale col vicino o il diverso (culturalmente
parlando), senza invidie né discriminazioni di sorta, nel semplice tentativo di sentirsi
Umanità variopinta, solo bisognosa di se stessa.
Il mio grazie va ovviamente a Mattia, ottimo compagno di viaggio nonché affine avventuriero
che, con quella forza e quella grinta mai esuberante ma che contraddistingue la giovinezza
che rappresenta, ha saputo trascinarmi in quest’avventura e stimolarmi positivamente
durante gli attimi di fatica fisica e psicologica.
L’augurio è di poter presto tornare a raccontare storie come questa.
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